sabato 10 dicembre 2011

Una dolce sorpresa







Autore: lipsialove

Storyline: 5 stagione

Pairing: Jan-Miguel

I personaggi non mi appartengono e questa fic non è scritta a scopo di lucro




La neve scendeva lenta sulla città durante quella che si prospettava una delle più fredde vigilie di Natale degli ultimi anni. All’interno del commissariato c’era aria di festa. Ina aveva addobbato l’ufficio con una ghirlanda e nastri colorati e sullo schedario un alberello con biscotti allo zenzero e di pasta frolla, che Miguel ogni tanto sgraffignava per mangiarseli di nascosto. Jan sedeva alla sua scrivania, la testa affondata in un fascicolo e un evidenziatore in mano, ma quando avvertì il rumore della poltroncina dell’amico, alzò lo sguardo.
“La smetti di ingozzarti?” lo rimproverò sorprendendolo a rubacchiare altri due dolcetti “Se ti becca Ina sai che ramanzina”.
Ridacchiando furbetto, Miguel tornò al suo posto “Per due biscotti fai tutte queste storie”
“Non ti lamentare poi se poi se diventi un ciccione!” gli occhi azzurri brillarono.
“Ciccione sarai tu, Jan!” gli fece la linguaccia.
“Che combinate?” domandò Ina tornando con una pila di cartelle. Li scrutò con una strana espressione “Voi non me la raccontate giusta!”
“Perché devi sempre pensare male?” nascosto il suo maltolto nella giacca, Miguel lanciò uno sguardo d’intesa al compare, il quale aveva cominciato a sghignazzare di gusto.
“Siete davvero terribili! Peggio di due ragazzini!” s’inalberò scuotendo la testa “Lascio correre solo perché è la Natale e siamo tutti più buoni”
“A proposito, sono in ritardo! Benny mi aspetta” decretò Jan alzandosi per prendere la giacca.
Dopo aver seguito per qualche istanti ogni sua azione, Miguel divenne improvvisamente silenzioso, interessandosi a qualcosa che era scritto su un foglio di carta spiegazzato.
“Che fai? Non vieni?” lo incitò Jan.
L'ispanico lo guardò, l’amico era fermo davanti la porta in attesa che lui si decidesse a darsi una mossa.
“Allora?”
Un sorriso si allargò sulle labbra carnose “Che aspettiamo? Ho una fame da lupi!” Miguel scattò in piedi e
Jan scoppiò a ridere seguito da Ina che aveva seguito tutta la scena in silenzio.
“Sei davvero incredibile, sai Miguel?”
“E tu?” le domandò il collega più giovane indossando il cappotto. “Non torni a casa?”
“Prima devo terminare questo” mostrò il rapporto dell’ultimo caso.
Stavano quasi per uscire, quando Miguel si bloccò “Ripensandoci, amico. Ti dispiace se ti raggiungo direttamente a casa?” agguantò le chiavi della BMW dalla scrivania.
“Perché?” Jan aggrottò la fronte.
“Ho una cosa da fare!” gli sferrò una pacca sulla spalla e sgattaiolò via senza dare ulteriori spiegazioni.
Jan fissò Ina come se cercasse una risposta, ma lei alzò le mani in segno di resa.
“Io ho rinunciato a capirlo, lo sai, vero?” gli comunicò prima di tornare al suo lavoro.
“Spero non sia niente di grave” mormorò l’altro turbato.
“Forse si era dimenticato di un appuntamento con qualche amica” replicò lei mettendo l’accento sull’ultima parola.
Quel dubbio lo assalì rendendolo ansioso. Dopo aver salutato frettolosamente la collega uscì dal commissariato diretto verso la propria auto, ma durante il tragitto verso casa non poté smettere di pensare a Miguel e alla sua aria misteriosa. Ipotizzò che volesse comprare qualcosa per Benny. Si convinse che doveva essere quello il motivo della sua fretta indiavolata e che se avesse avuto una ragazza tra le mani non avrebbe di certo accettato il suo invito a trascorrere la sera di Natale con lui e Benny.
Perso in mille dubbi, raggiunse la villetta. Parcheggiata l’auto, varcò la porta di casa.
Il calore lo investì immediatamente costringendolo a fare un mezzo spogliarello nell’ingresso. Si tolse il giubbotto, i guanti e la sciarpa.
“Ehi, Benny!” lo chiamò raggiungendo il soggiorno, nel quale era addobbato un enorme albero con tante decorazioni compreso un bel puntale rosso e dorato.
Il ragazzino, ormai adolescente, uscì dalla sua camera “Ciao, pà! Dov’è Miguel? Non viene?” si rattristò nel rendersi conto che il suo amicone non era con lui “Non l'avevi invitato?” gli lanciò un’occhiataccia.
“Certo che l’ho invitato!” Jan si turbò per quell’accusa “Ma ha detto che prima aveva una cosa da fare”
“Sì, certo” protestò lasciandosi cadere sul divano in modo scomposto “Secondo me avete litigato”
“Cosa? Perché avremmo dovuto litigare”
“Fai sempre così. Lo tratti con aria sufficiente”
A quelle parole avvertì un dolore in pieno petto. “Benny, ti sembra questo il modo di parlarmi?”
“È la verità! Stai sempre a riprenderlo, mentre lui si sa che ti adora!” continuò nella sua crociata.
“Anche io l’adoro”, anche al solo parlare di Miguel, Jan avvertì le farfalle nello stomaco
“Visto che trascorre tanto tempo qui, perché non gli chiedi di fermarsi? C’è tanto posto!”
Per la sorpresa Jan non riuscì a replicare.
“Su, lo so che ti farebbe piacere!” lo adulò “Almeno avrei qualcun altro con cui parlare!”
“Non ti basto io? Ma che figlio ingrato!” scosse la testa fingendosi seccato.
“So che ti farebbe piacere averlo intorno. Sei un altro quando ti è vicino”
Jan scattò in piedi, mentre il viso assunse un tono acceso che lo fece assomigliare ad un peperone.
Il campanello lo salvò da un’ennesima battutina imbarazzante da parte del ragazzino.
“Non una parola!” gli intimò puntandogli un dito contro.
“Che barba” protestò Benny incrociando le braccia al petto. Jan gli lanciò uno sguardo truce
Quando andò ad aprire, Miguel era sulla soglia, gote arrossate, capelli bianchi di neve e anche il giaccone era disseminato di fiocchi. Tra le mani due pacchi. Glieli porse.
“Cavoli se nevica!” si sgrullò il nuovo arrivato.
“Dai, entra prima di diventare un ghiacciolo”
Benny li raggiunse “Ehi, Miguel! Como estas” gli mostrò la mano per fargli battere il cinque.
Muy bien” Miguel gli assestò anche un leggero buffetto sulla guancia.
“Che calduccio. Alla radio hanno detto che questa sera dobbiamo aspettarci una bella tormenta di neve”
“Grande!” esultò Benny
“Un po’ meno per me che dovrò affrontarla per tornare a casa” si tolse il cappotto appendendolo all’attaccapanni, poi si strofinò le mani per riscaldarle. “Che si mangia? Ho una fame da lupi!”
“Vedrai, Erta prima di andarsene ha lasciato zuppa, spezzatino con patate e dolci a volontà” gli elencò Benny “Sa che papà è negato tra i fornelli!”
"Non è vero!” protestò l’interpellato.
Benny alzò gli occhi al cielo.
“Mmm che languorino. Che aspettiamo?” Miguel si massaggiò la pancia.
Jan e suo figlio scoppiarono a ridere, poi Benny si eclissò lasciando gli adulti l’incombenza di apparecchiare.


Dopo cena si ritrovarono in salone a giocare a scacchi. Jan tentava di restare concentrato, ma non riusciva a togliersi dalla testa che Miguel gli stesse nascondendo qualcosa. Lo osservò tutto concentrato e sospirò.
“Jan, che hai?” Miguel alzò un sopracciglio “Sembri imbambolato”.
“No, sto bene” negò l’altro scotendo la testa.
“Che starà facendo tuo figlio in camera? Sono ore che è chiuso nel silenzio più totale”
“Starà chattando con qualche amichetto”
“O con una fidanzatina! Bello come il suo papà, avrà decine di ammiratrici” commentò Miguel muovendo il pedone.
“Fino a pochi giorni fa sospirava d’amore per una certa Tanja. Chissà. Per me è sempre un ragazzino e solo al pensiero di lui che fa…insomma sesso... mi vengono i brividi” fece una smorfia.
“Ormai è un ometto” Miguel tornò pensieroso “Forse dovrei dargli il mio regalo” si sporse per prendere un pacchettino da sotto all’albero.
Si diressero insieme verso la camera del ragazzo, ma quando Jan sbirciò all’interno lo trovò addormentato sul letto, con le auricolari alle orecchie.
“È crollato!” esclamò voltandosi verso Miguel, il quale gli rivolse un sorriso dolcissimo.
“Povero piccolo, doveva essere stravolto”
“Aspetta” si avvicinò al figlio togliendogli l’’ipod e coprendolo con il piumone. Dopo essersi assicurato che stesse dormendo profondamente, tornò dall’amico. “È proprio andato!” e richiuse la porta.
“Cavoli se è cresciuto” sospirò Miguel.
“Già, me ne da di grattacapi” replicò “Peccato che non puoi dargli il tuo regalo”
“Vorrà dire che lo troverà domani mattina”
Una volta di nuovo in salone Miguel si spaparanzò sul divano, mentre Jan prese posto accanto a lui, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio.
“Stanco?” l’osservò con una strana espressione.
“Un po’” si accomodò meglio incrociando le mani dietro la nuca. Rimuginò tormentandosi il labbro inferiore con i denti, poi non resistette più e fissando serio l’amico si decise a porre finalmente la domanda che gli stava tanto a cuore “Mi vuoi dire che avevi da fare oggi di tanto importante?”
L’altro si limitò a ghignare e quello indispettì il commissario più anziano “Perché non vuoi dirmelo? Dovevi incontrare qualche tua ‘amica’?” tentò di fingere indifferenza, ma il tono risultò quello di una fidanzata gelosa.
Miguel invece continuò a evitare di rispondere “Non vuoi aprire il tuo di regalo?” dal mucchio di pacchetti ne prese uno sottile con la carta tutta colorata.
“Ma…” esasperato obbedì, afferrandolo malamente. Lo scartò alterato, ma quando vide quello che conteneva trattenne il fiato. Alzò lo sguardo verso l’amico, per posarlo di nuovo sull’oggetto tra le gambe. All’interno del pacchetto una loro foto incorniciata. Jan ricordava esattamente il giorno e perfino il momento in cui era stata scattata: il Natale dell’anno prima. Erano impegnati nel caso spinoso di un omicidio di una ragazza dell’Est alla quale avevano anche rapito la figlia. Durante un sopralluogo Miguel aveva scherzato con la fotocamera scattandogli numerose foto. Alla fine si erano anche immortalati in un autoscatto. Stranamente di quella foto aveva perso memoria, almeno fino a quel momento. .
Miguel lo fissò soddisfatto per essere riuscito a sorprenderlo “Non potevo venire con te perché dovevo fare una copia della foto” si grattò la testa rasata.
Jan si sentì il più grosso degli stupidi per aver pensato chissà che cosa, ma soprattutto di aver dubitato di Miguel. Nella foga di aprire il pacchetto non si era accorto che qualcosa gli era caduto sulle gambe. Attaccati ad un nastrino rosso i due biscotti che aveva sgraffignato ore prima. “Non li hai mangiati!”
“No, erano per te. Lo so, non è molto, ma…”
“Non è molto?” Jan non riusciva ad esprimere la gioia che provava in quel momento “Perché dici così? È bellissima. Non ricordavo neanche che l’avessi fatta stampare”
“Certo. La porto sempre con me, nel portafoglio” confessò imbarazzato “volevo che ne avessi una anche tu”
“Miguel” lo attirò in un caldo abbraccio stringendolo con forza e affondando il viso nel suo collo.
Rispondendo a quella stretta con eguale forza, Miguel insinuò le dita nei capelli biondi, scendendo sulla nuca. “Allora ti piace!”
“Da matti, ma il regalo più bello che potevi farmi è la tua presenza qui” sussurrò Jan con il cuore in gola.
“Non vorrei stare da nessun’altra parte, piccolo” ruotò la testa leggermente per baciargli un punto sotto la guancia.
Jan sospirò, ma in quel momento lo sentì sghignazzare “Davvero pensavi avessi un appuntamento con qualche seniorita?”
L’altro si staccò leggermente “Perché non è mai successo?”
“Non quando tu mi inviti ad una serata così importante”
“Mi spiace” rendendosi conto di avere detto una sciocchezza distolse lo sguardo.
“Eri geloso!” dichiarò Miguel divertito.
“Geloso? Ma quando mai!”
“Sì, che lo eri!” cacciò la lingua tra i denti.
“E va bene!” confessò infine “Ero geloso, ma la cosa che mi faceva impazzire era che mi tenessi nascosto qualcosa”
“Che testone Jan” gli prese il mento con una mano “non ti nasconderei mai niente!” lo fissò con una tale convinzione che Jan non poté fare altro che annuire.
Miguel sorrise “Bene. Ora dov’è il mio regalo?” si strofinò le mani nell’attesa.
Vedendo la sua faccetta così tenera, scoppiò a ridere “ce l’ho di là” si alzò dal divano sparì nel corridoio.
Quando tornò con il pacco, Miguel era in piedi accanto all’albero.
“Ecco” gli porse lo scatolone sul quale faceva bella vista un bel fiocco.
“Cos’è?” domandò prendendolo e scuotendolo.
“Peggio di Benny”
Miguel sedette sul pavimento e lo scartò “Wow!” Scoprì un giubbotto di pelle con collo di pelliccia.
“Ti piace?”
"Cavolo Jan, ma è favoloso! Ti sarà costato un patrimonio” si sentì a disagio per il suo regalo tutt’altro che costoso, ma il sorriso che l’amico gli rivolse riscaldò il suo cuore “Vai in giro con quell’affare che tu continui a chiamare cappotto. Congelerai uno di questi giorni”
“Grazie, è fantastico! Lo adoro” lo indossò immediatamente rimirandosi e improvvisando una mezza sfilata per Jan.
In quel momento lo sguardo del biondino si posò sull’albero, su uno dei rami bassi Miguel aveva appeso i biscottini allo zenzero che gli aveva portato. “E quelli?” li indicò.
“È il loro posto” dichiarò Miguel togliendo il suo regalo per poi riporlo con cura nella scatola. “Ora è meglio che vada!
Fuori dalla finestra sembrava essersi scatenata una vera tormenta. Miguel sopirò tristemente al pensiero di dover uscire con quel tempo, ma Jan lo spiazzò “Resta!”
“Come?” si voltò di scattò.
“Non puoi uscire con questa neve, resta a dormire qui”
“Sicuro che non ti scoccia?”
“No, anzi” si avvicinò pericolosamente “sapessi Benny con che cosa se n’è uscito. È proprio da lui fare richieste del genere”
“Di che parli?” si leccò le labbra secche.
“Vorrebbe che venissi a vivere qua!”
Miguel sgranò gli occhi per la sorpresa “Wow. Intraprendente il ragazzino!” si grattò la fronte.
“E tu che gli hai risposto?”
Jan tacque per un attimo “Dimmi solo una cosa, a te piacerebbe?” improvvisamente quell’idea non gli sembrava poi tanto strampalata.
“Certo, Jan che mi piacerebbe. Che domande!” il cuore gli batteva all’impazzata. “Solo che io non posso prendere e trasferirmi a casa tua”
“Perché? Te lo sto chiedendo”
“Sì, ma…”
“Nessun ma. Allora è deciso” decretò emozionato. “Appena possibile fai i bagagli e ti trasferisci!”
Miguel sorrise felice di quella decisione così improvvisa ma anche così giusta. “Che ne dici di qualcosa da bere?”
“Birra o vino?” si diresse verso l’angolo cottura.
“Birra” rispose lo spagnolo, poi ci ripensò “Meglio vino, dobbiamo festeggiare come si deve”
Jan prese una bottiglia di rosso e la stappò, portando con sé anche due calici.
“Caspita!” fece un fischio di apprezzamento.
“È Natale e poi anche quest’altra occasione così speciale” Jan gli porse il bicchiere.
“A questa coabitazione” i vetri tintinnarono e Miguel bevve un lungo sorso assaporando il gusto pieno e deciso. “Ottimo. Non credevo ti intendessi di vini”
L’amico invece bevve il suo tutto d’un fiato. Aveva davvero bisogno di qualcosa di alcolico per rendersi conto di quello che era appena accaduto. “Infatti, non me ne intendo. Sono stato fortunato, è davvero buono”
Dopo il secondo bicchiere erano entrambi troppo brilli per parlare. Miguel aveva la testa appoggiata su un cuscino e gli occhi socchiusi, mentre Jan si era raggomitolato in un angolo del divano con la fronte poggiata sul palmo della mano. “Jan, sarà meglio andare a letto” biascicò voltandosi dalla sua parte, ma si zittì rendendosi conto che dormiva. Si mosse lentamente fino a trovarsi ad un niente da lui. Gli sembrò un angelo in quel momento, la bocca socchiusa, il respiro leggero e un ciuffetto di capelli che gli cadeva da fuori la mano. Allungò le dita a sfiorargli la guancia, ma il timore di essere sorpreso, lo indusse a ritirarla. Restò per qualche minuto in silenzio ad contemplarlo, poi decise di svegliarlo.
“Ehi, bell’addormentato?” avvicinò il viso al suo. Quando gli occhi chiari si aprirono Miguel trattenne il fiato.
“Miguel” sussurrò “mi sono appisolato”
“Sei crollato, piccolo. Dai, ti porto a letto” dalle sue labbra questa frase risultò più maliziosa di quanto avesse voluto.
Jan arrossì e cacciando la lingua tra i denti replicò “Mi porti in braccio?”
“Sei matto! Mi verrebbe un’ernia!”
“Che cialtrone” si alzò stiracchiandosi “Il letto nella camera degli ospiti è sempre pronto con lenzuola pulite”
“Okay”
“Buona notte” indicò la porta, ma senza accennare ad andarsene.
“Notte Jan” abbassò lo sguardo verso le scarpe. “Buon Natale”
“Buon Natale anche a te, Miguel” sorrise, poi senza preavviso si sporse verso di lui, prendendogli il viso tra le mani.
Le bocche si sfiorarono. Un leggero tocco, ma che bastò a turbarli entrambi. Miguel si tirò indietro e dopo avergli rivolto un dolce sorriso si voltò per entrare, ma Jan gli afferrò un braccio. In quell’istante Miguel si rese conto che avrebbe occupato la camera negli ospiti di Jan, ma non da solo...


















lunedì 3 ottobre 2011

Rome meine liebe

Titolo: Roma, meine Liebe
Autore: Lipsialove
Paring: Alessandra, Gabriel Merz,
Rating: NC 17
WARRING: sesso anche senza protezione,
Genere: erotico, romantico





Dopo mesi di telefonate, mail e contatti con l’agenzia ero riuscita nel mio scopo: avere Gabriel Merz, mio attore preferito e volto della copertina di Lezioni di tango a Roma in occasione della presentazione. Quella sera, in attesa del suo arrivo, non stavo nella pelle. Ancora pochi minuti e l’avrei incontrato. Lo avevo chiamato in albergo per definire i dettagli, poi un’auto era andata a prenderlo. Giusi ed io lo avremmo visto direttamente al locale: un ristorante argentino nel centro della città. Per l’occasione avevo scelto con estrema cura il mio look: un top blu scuro con una leggera scollatura e una gonnellina azzurra con dei fiorellini. Un velo di trucco e i capelli ricci sciolti sulle spalle. Giusi mi venne a prendere a casa e insieme ci recammo fino al Caffè corrientes, un ristorante argentino nella zona di Monteverde. Anche lei era molto elegante, camicia bianca e pantaloni beige. Parcheggiare fu un’impresa ma alla fine un posticino per l’auto venne fuori e tremanti per l’eccitazione ci avviammo verso il ristorante. Io ero particolarmente nervosa, le mani mi sudavano e una leggera nausea cominciava a farsi strada. Neanche riuscivo a capacitarmi del mio stato. Finalmente la Mercedes fece la sua apparizione in fondo alla strada e io strinsi il braccio di Giusi “Spero di non vomitare quando lo vedo”
“Non sarà peggio di quando abbiamo visto Gede!” replicò lei con un sorriso “Stavo per collassare, ricordi?”
“Ricordo, per questo ho paura!” deglutii.
Quando l’enorme auto nera si fermò davanti all’entrata e ne uscì, lui, Gabriel Merz, il mio cuore si fermò per un istante. Era di una bellezza devastante, con i ricci ribelli, due occhi scuri e le labbra leggermente imbronciate. Lo fasciava una maglietta rossa a maniche lunghe e dei jeans intrappolavano le gambe sode. Mi lasciai sfuggire un gemito e strinsi più forte il braccio di Giusi, la quale taceva. Entrambe non riuscivamo a staccargli gli occhi di dosso. Il suo sguardo si posò su di noi e dalla sua espressione, compresi che ci aveva riconosciuto. Probabilmente dalle foto su facebook.
Sorridendo si avvicinò e io mi affrettai a stringergli la mano “Sera Gabriel, benvenuto a Roma” lo salutai in inglese.
Lui rispose al sorriso e mi attirò in un abbraccio baciandomi su entrambe le guance “Alexandra, piacere di conoscerti”
Nel sentirgli pronunciare il mio nome, avvampai talmente che non riuscii a replicare.
“Ciao, Gabriel” intervenne Giusi stringendolo a sua volta.
“Tu devi essere Giusi” mormorò guardandola negli occhi.
Lei annuì “Siamo felici di averti qui”
“Grazie per avermi invitato” lo sguardo si posò su di me e sentii le gambe tremare.
Nell’entrare nel ristorante lui mi poggiò una mano dietro la schiena sfiorandola. Provai un brivido di piacere, la sua mano era terribilmente calda. Accorgendosi di quel gesto, Giusi mi lanciò un’occhiata complice.
Una musica romantica ci accolse avvolgendoci. Il locale era molto caratteristico con archi in mattoni e pareti con pietre a secco. Su ogni tavolo, sistemato in modo che tutti i presenti potessero seguire la presentazione, una candela. Il luogo si presetava soprattutto per una cenetta a due. Fantasticai immediatamente di poterci tornare da sola con Gabriel.
Non essendo ancora arrivato nessuno, ne approfittammo per fare due chiacchiere con il nostro ospite. Lui sembrava molto a suo agio in quell’ambiente e io ne ero completamente affascinata. I suoi occhi scuri cercavano spesso i miei.
Nonostante l’ostacolo della lingua a volte rendesse difficile la comunicazione, la conversazione fu molto piacevole e Gabriel si dimostrò molto simpatico, dolce ed anche estremamente disponibile. Ci chiese anche di insegnargli qualche frase della nostra lingua e quando la sala cominciò a riempirsi, Giusi si allontanò lasciandomi da sola con il bel tedesco.
Imbarazzata dalla sua vicinanza, mi guardai intorno nella speranza di vederla tornare. Gabriel si sporse verso di me: “Finalmente ci conosciamo!”
“Non ne vedevo l’ora” gli confessai candidamente. “Sai, per noi sei una continua fonte d’ispirazione”
“Davvero?” scoppiò a ridere “Sono così interessante?” appoggiò la mano sullo schienale della mia sedia, accarezzandomi i ricci.
“Può sembrare sciocco, ma per quasi tutto quello che scriviamo prendiamo come modelli te e Marco Girnth o i vostri personaggi di Soko”
Gli occhi brillarono “Sarei curioso di leggere qualcosa, allora”
“Meglio di no!” arrossii violentemente.
“Perché?” il viso fu ad un soffio dal mio.
“Mi vergogno, ma mi piacerebbe darti una copia di tango” mi morsi un labbro “peccato che tu non conosca l’italiano”
“Già, un vero peccato” le dita risalirono ad accarezzarmi la nuca “ma potresti insegnarmelo tu”
In quel momento Giusi tornò per avvertirmi che la presentazione stava per cominciare ed io scattai in piedi seguendola. Nonostante cercassi di concentrarmi sulle parole del relatore, il mio pensiero andava a Gabriel, il quale continuava a mantenere il suo sguardo su di me fino a quando non fu chiamato sul palco. Prese il microfono e in un perfetto inglese si presentò ringraziando entrambe per l’opportunità che gli avevamo fornito di esssere parte del nostro progetto e di partecipare a quell’evento così importante. La presentazione durò per più di un’ora e dopo aver parlato entrambe di Lezioni di tango e di progetti futuri, le luci si oscurarono per lasciare il palco a un’esibizione di tango.
La musica e i movimenti dei due ballerini erano talmente coinvolgenti che non riuscii a staccare gli occhi dalla coppia che volteggiava, fino a quando Giusi non si sporse verso di me: “Hai fatto colpo, cicci”
“Come?” l’oscurità della sala celò il mio rossore.
“Gabri è cotto, ma non lo vedi come ti guarda?”
“Figurati” replicai scettica, ma avevo notato i suoi approcci.
“Fidati, il nostro tedescone vorrebbe stare da solo con te” ridacchiò felice “approfittane!”
“Ora Gabriel Merz si interessa a me” borbottai lanciando una fugace occhiata al nostro ospite, il quale seguiva con mal celato interesse il nostro confabulare. Sembrava quasi sapesse che stavamo parlando di lui.
“Gabriel ti mangia con gli occhi”
“Sì, come no” borbottai.
Al termine della rappresentazione, fu servita una cena tradizionale argentina, della quale Gabriel apprezzò particolarmente la grigliata mista, un tortino ripieno al cioccolato e un vino Piedra Negra. La sua vicinanza e i continui sfioramenti fecero sì che mi si chiudesse lo stomaco. Per il nervosismo cominciai a blaterare senza sosta sui monumenti che avrebbe dovuto visitare durante il suo soggiorno nella capitale. Spiazzandomi, Gabriel mi fissò e con la sua voce profonda e sensuale mi chiese: “Sarai tu a mostrarmi Roma?”
“Certo, ne sarà felice” rispose Giusi al mio posto “ha studiato Arte, sarà la tua guida!”
La fissai fulminandola, ma lei fece finta di niente “Ti mostrerà tutte le sue bellezze”
A quel punto Gabriel, senza staccare gli occhi dai miei replicò “Ne ho già due davanti”
La mia reazione fu di panico più totale. Non ero di certo preparata ad una simile frase. Giusi gongolava, mentre io ero terrorizzata, non mi sarei mai aspettata di fare così colpo su di lui. Certo, ci speravo, ma erano solo sogni.
Imporvvisamente Giusi si alzò “Io devo andare. Mauri sarà sul piede di guerra!”
“Okay” mi alzai a mia volta. “E lui? Mica possiamo lasciarlo qui!”
“Ha la sua Mercedes. Se vuoi accompagnarlo in albergo…”
“E poi, come torno a casa?”
Gabriel si alzò a sua volta, appoggiandomi poi una mano dietro la schiena.
“Problemi?” domandò il tedesco.
“No, nessun problema” rispose lei prontamente.
“Andiamo in albergo?” propose lui con fare malandrino. “È ancora presto!”
“Io non posso!” disse la mia amica prontamente “Devo tornare, ma Ale sarà felice di venire con te”
“Da sola?” strabuzzai gli occhi. Ero troppo intimidita anche solo per considerare l’ipotesi di restare da sola con lui. Per giunta nella sua camera.
Il volto di Gabriel s’illuminò e un sorriso apparve sulle labbra carnose.
“Osa, Ale!” mormorò Giusi.
“Eh? Sei matta? Come ci torno a casa dopo?”
“Sono sicura che Gabriel avrà un posticino per te, questa notte” mi strizzò l’occhio.
“Sì, certo”
“Non vuoi passare la notte con l’uomo dei tuoi sogni?” per impedire a Gabriel di sentire, abbassò il tono.
Non sapendo cosa replicare, restai a bocca aperta “Io…” balbettai in preda al panico.
Gabriel mi circondò la vita con un braccio e mi sussurrò qualcosa in inglese.
“Non fare la cretina!” insistette Giusi.
“Non posso non tornare! Mio fratello come minimo lo spiffera a mia madre!”
“Che stronzo se lo fa”
“Ma lo sai che lo farà! Cazzo, che situazione di merda”
“Digli che dormi da me!”
“Dici che se la beve?”
“Sti cazzi, cicci! Devi vivere la tua vita, non pensare a loro!”
“Okay” la salutai abbracciandola.
Dopo che Giusi fu andata via, salii sulla Mercedes di Gabriel e cercai di lasciarmi andare, di non sembrare troppo tesa e sprovveduta. Mandai un messaggio a mio fratello per avvertirlo che avrei dormito da Giusi, poi mi voltai verso Gabriel.
Lui mi fissava, giocando con un mio riccio ribelle. “Non sei felice di stare con me?”
“Certo, ma non pensavo che…” balbettai, in quel momento tutta la mia conoscenza dell’inglese andò a farsi benedire. Non ricordavo neanche una parola.
“Cosa?” il suo alito caldo mi sfiorò il volto.
“Che sarei finita qui con te” balbettai.
Lui sorrise facendomi totalmente sciogliere. Benchè non perfetto, il suo sorriso era talmente sensuale da disarmarmi.
“Ti seguo da anni, sono una tua fan e non avrei mai pensato di conoscerti, figuriamoci venire in albergo con te”
“Forse era destino. Da quando mi hai chiesto la foto desideravo conoscerti e ora che ti vedo di persona…” mi accarezzò una guancia. Tremai sotto il suo tocco e lui continuò “Mi pento di non averlo fatto prima”
“Vivi in Germania e poi, eri fidanzato” mi sfuggì. Mi maledii mentalmente per avergli ricordato la sua relazione precedente. “Scusa”
“E di cosa?” mi prese il mento con due dita e avvicinò il viso al mio. Le labbra s’incontrarono. Fu come se mi avesse colpito un fulmine. Una scarica mi attraversò la schiena e il cuore fece un balzo tanto che ringraziai d’essere seduta. Mi lasciai sfuggire un lamento e lui ne approfittò per spingersi all’interno della bocca socchiusa e approfondire il bacio. Gli strinsi il braccio e lui mi pressò leggermente contro il sedile.
Assaporai fino in fondo il suo gusto misto a quello del vino e mi lasciai andare a quello che era decisamente il bacio più bello e coinvolgente che avessi mai dato. La mano scivolò lungo il corpo, sollevando la gonna fino alla coscia. Accarezzò la pelle liscia, senza avventurarsi oltre.
Solo il bisogno di respirare ci costrinse a staccarci. Gabriel mi scostò una ciocca dalla fronte e guardandomi con i suoi grandi occhi scuri, tornò a lambire le labbra con le sue.
Lo sentii mormorare qualcosa in tedesco, ma la sua vicinanza mi rendeva difficile anche ragionare.
In quel momento l’auto si fermò. Conclusi che dovevamo essere arrivati in albergo. Lui aprì la portiera e scesi seguita da Gabriel, ma prima che potessi raggiungere le porte girevoli mi attirò a sé “Aspetta!”
Sbattei contro il suo petto muscoloso. Toccai con mano quanto fosse massiccio e ricordai le volte che lo avevo visto a torso nudo in televisione o sul computer. Non ci credo che sto per vederlo dal vivo.
Sorrisi ebete. “Resta con me, stanotte!” negli occhi una passione bruciante.
In quel momento non avrei potuto dirgli di no neanche se avessi voluto. Annuii e lui trionfante mi circondò la vita con un braccio.


Qualche minuto più tardi varcammo la soglia della sua suite all’hotel Duca l’Alba. Si chiuse la porta alle spalle e mi spinse contro la parete intrappolando le labbra in un bacio ardente. Afferrato il volto con le mani, risposi con altrettanto trasporto. Sentivo che non sarei potuta essere più felice come in quel momento. Ero con l’uomo dei miei sogni e lui desiderava trascorrere la serata con me. Dopo esserci sbaciucchiati per qualche secondo, Gabriel mi lasciò andare, per dirigersi verso il piccolo frigo. Stordita barcollai, ma riuscii a restare in piedi. Guardandomi intorno mi mossi verso il letto matrimoniale. Accarezzai distrattamente il copriletto blu scuro con dei piccoli rombi dorati, poi mi avvicinai alla finestra, il panorama era da mozzare il fiato: il Colosseo illuminato si ergeva in tutta la sua imponenza.
“Bellissimo” aprii la porta a vetri ed uscii sul terrazzino.
Mi raggiunse, in mano una bottiglia di Champagne e due calici “Tu sei bellissima!” mormorò in italiano.
“Se ti va domani ci andiamo. voglio farti visitare il Colosseo di notte, è magico”
“Mi sembra stupendo! Entriamo, fa un po’ freddo” la sua voce sensuale mi rimescolò dentro.
Arrossendo lo seguì all’interno della camera.
“Perché arrossisci?” appoggiato il tutto sul tavolino al centro della stanza, mi alzò il volto con il palmo. “Nessuno ti ha mai detto che sei bellissima?”
“Non di recente”
“Questi italiani sono davvero ciechi” con il pollice massaggiò la guancia, poi si abbassò a stappare la bottiglia.
“Cazzo” mormorai in preda al panico. Respirando profondamente cercai di calmarmi. Il cuore batteva come un pazzo, le mani sudavano e mi sentivo come se dovessi svenire da un momento all’altro. Mi maledii per aver accettato di commettere quella follia. Non avevo alcuna esperienza ed ero andata ad impelagarmi con uno che aveva avuto di certo decine di amanti. Ero ancora immersa nei miei dubbi quando Gabriel mi porse un calice.
“Grazie” arrosssii allungando la mano, le dita si sfiorarono.
“Un brindisi” propose sorridendo.
“A Lezioni di tango”
“A noi” aggiunse senza smettere di guardarmi.
Il vetro tintinnò e io bevvi tutto d’un fiato, un po’ per darmi coraggio e un po’ anche perché ero terribilmente accaldata. Lasciai il bicchiere sul tavolino.
“Sei diversa dalle ragazze che ho conosciuto”
“Non capisco” aggrottai la fronte.
“Sei timida, riservata e non cerchi di…” si bloccò.
“Sedurti?” compresi finalmente quello che tentava di dirmi.
Gabriel annuì e io indietreggiai di un passo. Tentando di trovare le parole giuste, mi morsi il labbro inferiore.
“Che c’è? Non era un rimprovero, anzi” sorrise malizioso “non ti va di restare?”
“Vedi, io…” strinsi i pugni “non sono mai stata con un ragazzo” lo sputai tutto d’un fiato e chiusi gli occhi in attesa di una sua replica o quanto meno una risata. Ma non accadde nulla.
“Questa è una sorpresa” restò interdetto.
“Scusa, dovevo dirtelo subito invece di farti perdere tempo” feci per avviarmi verso la porta, ma lui mi bloccò “Non ho perso tempo. Tu mi piaci” mi confessò.
“Anche tu, da impazzire” cercai le sue labbra baciandole con ardore. Lo desideravo con tutta me stessa, ma il timore di non essere all’altezza delle aspettative mi bloccava.
Gabriel mi prese in braccio e senza smettere di baciarmi, mi portò sul letto. Una volta stesa sul copriletto di raso, lo attirai a me. Tornò a divorarmi le labbra e il suo odore naturale misto a quello di un leggero dopobarba, mi inbriò.
Si scostò solo il tempo necessario per sfilarmi il top che finì sul pavimento. La bocca si spostò sul collo scendendo verso il seno coperto dal push up nero. Con le dita cincischiò con il gancetto fino a quando non riuscì ad aprirlo. Titillò i capezzoli con i pollici.
“Ti piace, meine kleine?”
“Non ti fermare, Gabriel” lo incitai, le sue mani calde mi stavano facendo impazzire.
Sorrise maligno. Lasciò scivolare i polpastrelli verso il ventre liscio, percorrendo gli addominali appena pronunciati. “Sei uno splendore” Posò una scia di baci intorno all’ombelico, per poi risalire lungo i fianchi.
“Non è vero” negai, non mi ero mai considerata bella, ma sentirmelo dire da Gabriel Merz faceva uno strano effetto.
“Sì, lo sei”
“Sei troppo vestito”
“Spogliami!” ordinò fissandomi con occhi di brace.
Impacciata gli tolsi la maglia che finì ammonticchiata accanto agli altri indumenti. Osservai il petto villoso, la scia di peluria che spariva all’interno dei jeans e le braccia muscolose. Desiderai stringermi a lui, lasciare che mi coccolasse. Mi spinsi contro di lui e gli circondai le spalle con le braccia, affondando il viso nel suo collo. Inspirai il suo profumo e pressandomi contro il suo torace maschio strofinai il naso contro la sua pelle. “Sei così maschio, Gabri” Gli tempestai la gola di baci, poi mi bloccai.
Avvertii le sue braccia intorno alla vita “Tutto bene?”
“Sì, mi sto solo godendo il tuo corpo” sussurrai lambendogli il lobo con le labbra.
“Sei dolce. Non ho mai conosciuto una ragazza come te” le mani affondarono nei miei capelli.
“Facciamo l’amore, Gabriel!”
Lui rise “Mi sembra che siamo a buon punto”
Ci guardammo. Le bocche ad un niente. Mi sporsi a baciarlo, ubriacandomi del suo sapore.
Gabriel mi spinse nuovamente supina, schiacciandomi contro il materasso. Si mosse su di me, facendomi avvertire la sua eccitazione. Le sue dita s’insinuarono sotto la gonna, solleticandomi attraverso la biancheria. “Ich will dich” * sussurrò ansimante.
“Prendimi” lo accolsi tra le gambe, ma lui si scostò per sbottonare i jeans.
Li calò velocemente scalciandoli via, poi fece lo stesso con i boxer bianchi dal bordo firmato Armani.
Osservai il suo corpo tornito, gli addominali scolpiti. Lo trovai in splendida forma, ancora più bello di come appariva nei video.
“Rilassati, gattina” ghignando abbassò la gonna. Mi copriva solo un paio di slip.
Gabriel partì dalla caviglia ricoprendola di piccoli baci, poi risalì lungo il polpaccio. Mordicchiò la pelle raggiungendo il ginocchio. Lo leccò con la punta della lingua e proseguì lambendo l’interno coscia. Quando si trovò con il viso all’altezza della mia femminilità ormai irrimediabilmente bagnata, trattenni il respiro nell’attesa. Volevo sentire la sua bocca talentuosa su di me.
Mi sfiorò con il pollice attraverso il tessuto, poi appoggiò le labbra stuzzicandomi giusto il tempo necessario per farmi supplicare di darmi di più. Bramavo il suo tocco.
Sfilò le mutandine, ma invece di lasciarle cadere sul pavimento, le infilò nella tasca dei jeans. Quel gesto contribuì ad aumentare la mia eccitazione. Gli lanciai uno sguardo colmo di desiderio e lui cacciò la lingua tra i denti.
Ridendo allargai le gambe per consentirgli un maggiore accesso. Finalmente dopo essersi limitato a carezzare il clitoride, cominciò a stimolarlo con la bocca. Catturò tra le labbra il centro del mio piacere, tirandolo. Lo assaporò come una fragola matura, succhiandolo e leccandolo. In preda agli spasmi, mi contorsi sotto di lui. Quando una vampata mi investì, il piacere si propagò fino al cervello staccando la spina e impedendomi di ragionare lucidamente. Non esistevano altro che Gabriel e la sua bocca. I gemiti incontrollati lo incitarono a continuare. Inarcai la schiena e buttai la testa all’indietro. Il godimento era immenso, anche oltre le mie aspettative. Pronunciai senza sosta il suo nome e quando l’orgasmo mi travolse, arricciai le dita dei piedi tanto che per qualche secondo non riuscii a muovermi. Gabriel si dissetò del mio nettare fino a quando ne fu ebbro. Cercando di riprendermi, ansimai. Le gambe mi dolevano e quando Gabriel sfiorò il pezzettino di carne gonfio urlai.
Risalì verso la mia bocca, la baciò solleticandola con la punta della lingua. “Hai un buon sapore”
“È stato…” boccheggiai “grandioso”
Gabriel ghignò e io allungai la mano verso il suo pene ormai semi eretto.
Il tedesco era eccitato e restai impressionata dalle dimensioni. Deglutii e cominciai a muovere le dita strappandogli un gemito dopo l’altro.
“Alexandra”sospirò chiudendo gli occhi, il naso mi sfiorò una guancia. I suoi gemiti mi infiammarono spingendomi ad osare di più
Lo spinsi con la schiena contro il lenzuolo e gli sedetti in grembo. Abbassai la testa, i capelli gli solleticarono il petto. Lambii la pelle sudata con le labbra, gustandone il sapore salato. Risalii verso i peli. Il suo corpo era bellissimo, massiccio e muscoloso. Le dita mapparono il ventre, strizzando un lembo di carne. Lui si agitò sotto di me e io insistetti. Da sempre desideravo farlo. In quel momento mi venne in mente Giusi e quando le avrei detto della notte trascorsa con Gabriel. Un sorrisetto mi illuminò il viso.
Mi accarezzò i capelli “Sei raggiante, piccola. Voglio vederti sempre così!”
“Sono felice di fare questa esperienza con te” confessai solleticando il ventre con le labbra.
Percorse la mia colonna vertebrale con i polpastrelli, raggiungendo le natiche. “Sarò il tuo insegnante. Puoi chiedermi tutto”
“Fermo, non distrarmi” lo rimproverai quando mi stimolò la fessura.
Invece di fermarsi, aumentò il tocco e io cominciai a gemere sommessamente “Non è valido. Ora tocca a me”
Portandomi una mano dietro la nuca, mi spinse verso il basso, fino a quando non mi trovai all’altezza della sua asta. Titubante, lo sfiorai, passando prima un dito sul prepuzio e poi tracciando tutta la lunghezza. Alzai lo sguardo verso di lui e sorridendo lo sferzai con una leccata decisa.
“Scheisse” mormorò quando ripetei l’operazione.
“Vado bene?”
“Sì, continua!” incitò “Appoggia la bocca, spingilo dentro”
Obbedii, facendolo scivolare tra le labbra. Lo accolsi e cominciai a ciucciare fino a quando non lo sentii aumentare di volume, diventare sempre più grosso. Non fu disgustoso come temevo. Mi piacque, ma soprattutto mi piaceva perché si trattava di Gabriel.
“Ti piace?” Alzai lo sguardo.
“Ne dubiti?” Gabriel era rosso in viso, la bocca socchiusa e gli occhi lucidi “Vieni qui” mi attirò a sé e pressandomi contro il materasso, ribaltò le posizioni. “Ci sai fare, gattina” s’insinuò tra le gambe.
Tornò a cercarmi la bocca, a divorarmi. Mi lasciai sfuggire un lamento e per avvicinarlo a me, gli circondai le spalle con le braccia.
“Fammi tua!” mi mossi sotto di lui. “Ce l’hai il…?” mi vergognavo a chiedergli di usare il preservativo, ma per un attimo il buo senso prevalse sull’istinto.
“Certo che ne ho, bambolina” si districò dal mio abbraccio e si sporse dal letto. Arraffati i jeans cercò nelle tasche. “Non preoccuparti”
Lo attesi mentre indossava il profilattico, accogliendolo poi di nuovo tra le mie braccia. “Quando ti voglio, Gabriel”
“Ti farò impazzire di piacere, Alexandra”
“Mi piace quando dici il mio nome con quel tuo accento sexy” cercai ancora le labbra carnose. Le solleticai con le mie “tu sei sexy”
“A me piacciono le donne come te, semplici e terribilmente dolci” mi accarezzò una guancia, scendendo verso il mento.
Gli presi la mano e baciai un dito alla volta. Se penso a quante volte ho fantasticato sulle sue dita.
“Sei pronta per me?” mi scrutò nel timore di leggere nei miei occhi un qualche ripensamento, ma io non ne avevo. Non avrei mai potuto averne, non dopo tutto quello che era accaduto tra noi.
“Sempre, ma…” balbettai “fai piano” allargai le gambe per permettergli di infilarsi in mezzo.
“Non temere” mi rivolse un sorriso dolcissimo che contribuì a calmarmi.
Dolcemente si spinse in me. Il dolore esplose rendendomi pressocché impossibile godermi il momento. “Fermati!” poggiai le mani sul suo petto. “Fa troppo male”
“Vedrai che ora passa, tesoro” si bloccò riempiendomi il volto di piccoli baci. Mi sussurrò qualcosa nell’orecchio. “dura solo per un attimo, poi ti piacerà da matti”
“Lo spero perché per adesso, non è granchè” ironizzai, ma ero seriamente preoccupata.
Continuando a parlarmi, Gabriel tornò a muoversi entrando sempre più in profondità. “Sei splendida, piccola”
“Gabriel” ansimai allacciando gli occhi ai suoi. “adoro la tua voce, ma soprattutto adoro il tuo corpo” gli circondai le spalle muscolose con le braccia per attirarlo più vicino. Ero così eccitata che ben presto il dolore si attenunò fino a sparire del tutto.
“Ancora! È stupendo!” le mie mani scesero ad agguantargli le natiche sode. Lo supplicai di continuare, di non fermarsi.
I colpi si susseguirono duri e potenti. Lo sentii implacabile dentro di me, tanto che in pochi istanti, Gabriel mi portò al picco, ma continuò a muoversi fino a quando le contrazioni non si esaurirono.
Il sudore gli imperlava il petto. Desiderai affondare il viso nei suoi peli, assaporare il gusto maschio della sua pelle madida. “Oh, signore, sei un dio del sesso”
“Cavalcami!” negli occhi un lampo di lussuria.
Desiderosa di sperimentare tutto, annuii districandolo dalla mia stretta. Gabriel si stese trascinandomi su di sé. Gli sedetti in grembo e quando fui pronta, mi mossi con estrema lentezza. “Ti sento così bene. Riempimi tutta” mormorai abbassandomi a cercare le sue labbra. Catturai il labbro inferiore tra i denti e lo tirai leggermente, spostandomi sul collo. Proseguii verso il torace villoso. Mentre la lingua vezzeggiava in lungo e largo, gustandone golosa il sapore “Il mio torello”
“Il tuo toro ora ti monterà per bene!” Gabriel mi afferrò per la vita e dopo avermi fatto stendere su un fianco si posizionò alle mie spalle “Voglio proprio mostrarti tutto” Scostati i capelli umidi, affondò il volto nel mio collo. “Sperimentare ogni cosa”
“Non vedo l’ora”
“Che birichina. Mi piace in una donna”
“Sono felice di avere aspettato. Adoro fare l’amore con te, è perfetto” confessai con estrema sincerità.
“Tesorino, l’amore si fa in due” solleticò la pelle con il naso, “Siamo in sintonia, due parti di una mela” Sentendolo nuovamente dentro di me, mi lasciai andare a dei gemiti incontrollati. “Non ti fermare! Più forte!” piegai la testa di lato per dargli maggiore accesso. Con la punta della lingua leccò la pelle umida, spostandosi verso la nuca “Sai di agrumi, mi fai impazzire”
“Bagnoschiuma al pompelmo” chiusi gli occhi “ma ora toccami, fammi godere!”
Gabriel percorse il mio corpo con i polpastrelli, sfiorando delicatamente il ventre “Così?”
“Più giù”
Le dita raggiunsero il monte di Venere, si soffermarono sulla peluria “E ora?”
“Fuochino” gemetti “non torturarmi”
Ridacchiando lasciò scivolare il medio nella mia femminilità ormai bagnata.
“Sì, di più”
“Siamo insaziabili” ogni colpo del suo pene toccava un punto erogeno tanto che ad un certo punto persi la ragione mormorando frasi senza senso.
Quando solleticò il nucleo del mio piacere con il pollice, mossi il bacino per incontrare il suo tocco.
“Voglio farti venire ancora e ancora”
“Mi porterai alla follia, Gabriel. Le tue carezze sono una droga, ne desidero sempre di più” agognavo a farlo durare il più a lungo possibile, ma sentivo imminente l’ennesimo orgasmo.
“Cazzo quanto sei sexy mentre vieni e la tua patatina si contrae” e aumentò la violenza delle spinte fino a quando il godimento non mi travolse come un tornado. “Bambolina” si spinse con forza un’ultima volta e con un gemito soffocato venne a sua volta.
Boccheggiante appoggiai la schiena contro il suo petto. Ero stremata, ma felice. Gabriel si portò alle labbra le dita impiastricciate succhiando i miei umori, poi uscì da me per sfilarsi il preservativo.
Indolenzita mi voltai a guardarlo, le sue labbra erano lucide, nella barba delle goccioline di sudore misto alla mia essenza. Mi sporsi a baciarla, spostandomi verso la bocca carnosa. Lambii la cicatrice che tanto mi aveva attratto fin dal primo momento in cui l’avevo notata in Lipsia, ma che era celata dalla peluria.
“Ti da un’aria da duro questa cicatrice” sussurrai percorrendola con la punta della lingua.
Lui mi attirò tra le braccia, intrecciando le gambe con le mie “Un duro dal cuore tenero. Quando incontro una ragazza come te divento il più inguaribile dei romantici.” Mi scostò un riccio dalla fronte.
“Davvero?” vezzeggiai il mento con il naso “Potrei anche perdere la testa per te, Gabriel e la cosa sarebbe davvero pericolosa”
“Perché? Sei una stalker psicopatica?” si finse spaventato.
“Scemo!” gli sferrai un buffetto sul petto “No, è che…” divenni improvvisamente triste “apparteniamo a due mondi opposti, tu sei un attore famoso, io…” in un attimo di sconforto mi strinsi a lui, circondandolo con le braccia. “scusami, sono una cretina. Dimentica che ho parlato”
“E con questo? Sono sempre un uomo, zuccherino” mi alzò il mento, il tono di voce divenne profondo “e poi, posso sempre tornare a trovarti o tu venire a Berlino” le bocche si unirono riaccendendo il desiderio.
Dopo avermi fatto stendere a pancia su, si lasciò scivolare lungo il mio corpo, lasciando una scia di piccoli baci e carezze. Ansimando, inarcai la schiena. Quell’uomo era davvero il sogno di ogni donna. Il piacere della partner sembrava il suo obiettivo primario e io ero più che felice di usufruire di quel trattamento privilegiato.
“Gabriel” mormorai quando ricominciò ad occuparsi del bottoncino roseo che al tocco delle sue labbra si schiuse come un bocciolo. “Mio dio”
“Adoro il tuo grilletto, sembra una ciliegia matura, pronta per essere colta e mangiata”
“Grilletto” ripetei trattenendo una risata “mi piace”
Lo catturò con le labbra tirandolo.
“Divorami!” lo supplicai
Lui obbedì affondando il volto tra le mie gambe e assaporandomi con solerzia. Succhiò, mentre con le dita si spingeva dentro e fuori. Artigliai il lenzuolo e buttando la testa indietro mi lasciai andare a gridolini di estasi. “Sei fantastico! Mangiami! Di più!” Lo incitai spalancando le cosce.
“Potrei anche annegare nel tuo nettare”. Sostituì le dita con la lingua penetrandomi.
“Sì, ancora!” l’estasi mi sommerse. Ero certa che l’indomani sarebbe stato faticoso perfino camminare dopo quel trattamento.
“Vieni, piccola!” insistette fino a quando non sentìì arrivare l’orgasmo. Incapace di bloccarmi, gridai.
La contrazione mi provocò un crampo nel polpaccio. “Dannazione!” imprecai.
Gabriel si leccò le labbra imbrattate, poi strofinò il naso contro la mia femminilità dolorante, ispirandone l’odore. Si spostò verso la coscia sfregando il mento contro la pelle liscia.
“Smettila” mi lamentai della sua barba “Pizzica!”
“Dimmi che non ti piace” continuò risalendo di nuovo verso il nocciolino gonfio.
Al tocco della sua barba ispida, gemetti. “Sei sadico”
“Mi piace che non sei depilata” passò il palmo sul monte di venere “sei più donna così”
“Credevo agli uomini non piacessero i peli” infilai le dita nei suoi ricci.
“A me piacciono” con i denti ne tirò un ciuffetto facendomi scattare.
“Ehi!” protestai
Lui si lasciò scappare una risata, poi tornò a tormentarmi con la sua bocca talentuosa tanto che presto fu di nuovo pronta e bagnata per lui.
“Ancora non ne hai avuto abbastanza?” in realtà, non mi stavo lamentando. La sua prestanza e fantasia mi aveva contagiato talmente che gli chiesi di mostrarmi qualcosa di nuovo.
Negli occhi apparve una luce malandrina e compresi che aveva in mente una posizione particolarmente divertente.
“Vieni con me” si alzò dal letto, il pene era di nuovo sull’attenti. D’istinto mi leccai le labbra e lo seguii al centro della stanza. Dopo aver indossato il guanto protettivo, mi tirò su, mettendomi le mani sotto le ascelle.
“Mettimi le braccia intorno al collo” e io obbedii, mentre lui mi agguantava le natiche. “E le gambe, stringimele in vita”
Obbedii e quando mi abbassò sulla sua asta gemetti per la sorpresa. Aiutandomi con le braccia, mi mossi in modo da approfondire il più possibile la penetrazione. Volevo sentirlo tutto dentro.
“Adoro questa posizione” mi confessò premendomi contro di lui.
“Ce la fai a tenermi?” lo strinsi di più per paura di cadere, ma le braccia muscolose di Gabriel mi sorreggevano.
“Sei uno scricciolo, tesoro” cercò le labbra. Lo baciai carezzandogli la lingua con la mia. Indietreggiando mi pressò contro la parete. I colpi ricominciarono sempre più secchi e decisi. Mi stava letteralmente sgusciando come una noce.
“Gabriel, oh, sì” gli conficcai le unghie nella schiena “non ti fermare! Più forte” non riuscivo a pensare ad altro che a lui e a come la mia fantasia di come sarebbe stato fare l’amore con Gabriel, non si era neanche avvicinata alla realtà. Gabriel Merz era uno stallone da monta e io ero la sua giovenca.
Urlando il suo nome, raggiunsi l’apice. Un ultimo impatto tra i nostri colpi e anche Gabriel raggiunse l’orgasmo. Restammo immobili per un po’, ansimanti ed esausti, poi lui mi lasciò andare. Ma quando provai a stare in piedi non ci riuscii, le gambe mi vennero meno. Scivolai sul pavimento e Gabriel si accovacciò accanto a me. “Stai bene?” mi baciò la fronte sudata.
“Non mi sento più le gambe” appoggiai il viso sul suo petto.
“Ci credo” ridacchiò compiaciuto.” È stato fenomenale!”
“Ma è sempre così?” domandai perdendomi negli occhi scuri del mio amante.
“Tu che dici?” lambì le labbra con un piccolo bacio, poi mi prese in braccio per condurmi a letto.
Il mio sguardo cadde sull’orologio che aveva al polso: le 2 e mezzo. Ci avevamo dato dentro per quasi tre ore. Il tedesco scostò il copriletto e mi aiutò ad infilarmi sotto le lenzuola. Dopo essersi accoccolato accanto a me, mi accarezzò una spalla con i polpastrelli. Gli baciai il petto, giocherellando con un ciuffetto di peli per poi abbandonarmi ad un sonno ristoratore.
Il mattino seguente un raggio di sole mi colpì il viso disturbando un sogno bellissimo. Ero con Gabriel al Circeo e facevamo l’amore in riva al mare, al chiarore della luna. Sorridendo riaprii gli occhi. La schiena muscolosa di Gabriel occupava metà del letto, mentre le braccia erano sotto il cuscino. Dormiva sommessamente. Mi avvicinai sfiorandolo. Quasi non credevo che avevo trascorso la notte con lui. Solleticai la pelle con le labbra, spostandomi verso la spina dorsale. Lo sentii muoversi, così continuai il mio cammino fino a quando lui non ruotò il viso a guardarmi. “Ben svegliata bambolina”
“Ciao”
“Non ti fermare”
Il mio stomaco brontolò.
“Hai fame tesoro?” si girò del tutto per poi attirarmi in una stretta.
“Da morire. Stanotte ho perso un paio di chili, sicuro”
“Ora ordino una bella colazione così recuperiamo le energie” mi prese la mano e portatosela alle labbra mi mordicchiò le dita.
“Gabri, tu sì che sai come coccolare una ragazza” sorrisi.
In quel momento il cellulare vibrò, era un sms di Giusi. Non lo lessi. Avevo intenzione di chiamarla più tardi per ragguagliarla sulla notte appena trascorsa. Non feci neanche in tempo ad appoggiare l’apparecchio sul comodino che la musica familiare di Lady Gaga si diffuse nella stanza. Sentii Gabriel scoppiare a ridere e lanciandogli un’occhiataccia, mi affrettai a rispondere, allontanandomi da lui. Era mio fratello. Lo liquidai con poche parole. Non volevo certo potesse capire con chi ero.
“Susse, komme hier*” mi richiamò.
Chiusa la comunicazione tornai dal mio tedescone, il quale dopo avermi chieso cosa volessi per colazione, chiamò il servizio in camera.
Quando arrivò il carrello, Gabriel prese il vassoio e lo portò a letto. C’era un po’ di tutto, compresa frutta fresca, panna e altre ghiottonerie.
“Ti tratti bene, tesoro” gli dissi sgraffignando uno spicchio d’arancia.
“Questo è il bello di essere delle star” mi strizzò l’occhio, poi si buttò sulla pancetta mangiando con le mani.
Lo osservai eccitata succhiarsi l’olio dalle dita e attaccare le uova strapazzate.
“Che c’è?” alzò la testa fissandomi interrogativo.
“Sei così arrapante”
Sorridendo maligno raccolse un po’ di panna montata e me la porse. La succhiai disegnando dei piccoli cerchi con la lingua. “Scheisse, meine Liebe” mormorò “Me lo fai rizzare”
“Vedo” l’erezione svettava poggiandosi sul ventre. Mi sporsi a incontrare le sue labbra unte. Lo baciai con ardore, pressandomi contro il suo torace. Senza staccarmi dalla sua bocca talentuosa, gli sedetti in grembo
“Alexandra” si spinse in me vigoroso. Muovendomi a prenderlo in profondità, lo abbracciai stretto. Affondai il volto nel suo collo e mormorai il suo nome fino a quando l’orgasmo non mi sommerse. Ormai sapeva che punti sfiorare per farmi godere. Gabriel alzò il bacino un’ultima volta, poi uscì da me e venendomi sulla pancia. Sgranai gli occhi. ero talmente presa dalla passione da non rendermi conto che non avevamo usato alcuna precauzione. Per fortuna, lui era un uomo prudente e attento ai bisogni altrui.
Il cellulare ruppe l’atmosfera ovattata. Sospirando, mi districai dalla sua stretta e per la prima volta da quando avevo varcato quella soglia, tornai alla realtà. Mi resi conto che era giunto il momento di tornare alla mia vita, alla routine di tutti i giorni e soprattutto di lasciare Gabriel.
Al solo pensiero avvertii una fitta al petto. Restai in piedi, accanto al letto, il cellulare stretto in mano e lo sguardo perso nel vuoto.
“Tutto bene?” domandò Gabriel raggiungendomi. Mi avvolse nel suo abbraccio al quale mi abbandonai. Lasciai che lui mi coccolasse poi ci rifugiammo nella doccia dove ricominciammo ad amarci.
Prima che lasciassi la suite, Gabriel mi tenne stretta a sé, poi mi sussurrò in italiano “Non ti dimenticherò e quando leggerò il tuo libro penserò a te”
Misi il broncio “Non mi va di andarmene”
“Ci vediamo stasera? Una cenetta solo noi due in un ristorantino qui intorno”
“Non vedo l’ora” lo baciai con trasporto e quando fu il momento dell’arrivederci, gli lasciai scivolare in mano un bigliettino col mio numero.
Uscendo dall’albergo, mi voltai un’ultima volta a guardare la finestra della sua camera, poi mi avviai verso la fermata della metro.

lunedì 16 maggio 2011

Le regole dell'inferno





Fantastica fanfiction AU di frau ale...

grazie per l'onore...


LE REGOLE DELL’INFERNO


Un’ora. Era gia’ passata un’ora dal suo arrivo in carcere e quel tizio continuava a fissarlo. Sfacciatamente, con molesta insistenza. Appollaiato sullo schienale di una panca, immobile come una statua. E con quel ghigno.
Ma cosa voleva da lui?! Era sicuro di non conoscerlo, mai visto prima. Almeno non prima di quella mattina, quando era stato portato dalle guardie nello stesso settore.
Eppure quell’uomo non gli staccava gli occhi di dosso, rivolgendogli uno sguardo diretto e penetrante come volesse entrargli dentro.
E lui iniziava ad innervosirsi, si sentiva veramente a disagio. Più volte aveva cercato di guardare altrove, di concentrarsi su altri pensieri, ma gia’ il posto in cui si trovava non era certo d’aiuto; tutt’altro. L’istituto di massima sicurezza “Kreis”, tenendo fede al suo nome oltre che alla sua fama, sembrava un vero e proprio girone infernale. E non solo dal punto di vista estetico; la struttura fatiscente, umida ed inospitale era perfettamente in linea con la maggior parte dei suoi ospiti, tenuti parzialmente a freno solo dalla prospettiva di certi trattamenti riservati agli elementi più indisciplinati o semplicemente che non rispettavano le regole, al limite del trattato di Ginevra!
E inoltre il troppo pensare gli ricordava come fosse arrivato lì e questo gli rodeva ancora di più. Maledizione a quando aveva accettato di aiutare quel bastardo di suo cugino! Lui, Mark Kämpfer, rampollo di una famiglia ‘bene’ di Colonia che, forte del suo passato di ex poliziotto, aveva avuto l’ardire di cercare di purificare le infiltrazioni malavitose che infestavano la sua famiglia. Ex perché tutto era finito nel momento in cui aveva iniziato ad indagare su suo cugino ed aveva avuto la pessima idea di convincerlo ad uscire dal giro; ma Chris conscio di poter perdere tutti i milioni di euro che gli fruttavano i suoi loschi affari, lo aveva invischiato in un traffico di ragazzine a sua insaputa e poi lo aveva fatto denunciare da una testimone fasulla, in seguito misteriosamente scomparsa. Mark era finito sotto inchiesta e le prove schiaccianti costruite ad hoc gli avevano fatto perdere il lavoro in polizia e rimediare una bella condanna. Naturalmente lui non aveva commesso alcun crimine. Non lui, il classico uomo tutto d’un pezzo, di sani principi e per di più allora in procinto di sposarsi. No, era proprio suo cugino ad avere il vizio delle ragazzine, ad avere assoldato la falsa testimone e ad averla poi voluta morta perché in possesso delle prove che avrebbero potuto inchiodarlo. Chris era stato talmente furbo e scaltro da essere riuscito, con quella mossa astuta, a liberarsi tanto di lei quanto del fastidioso cuginetto in vena di brave ragazzate! E gli aveva pure fatto credere di volerlo aiutare pagando i migliori avvocati che pero’ nulla avevano potuto contro quelle accuse. Aveva perso tutto non solo il lavoro; persino la sua promessa sposa se n’era andata. Uscito dal carcere per buona condotta e deciso a vendicarsi si era messo in proprio, cercando di distruggere a modo suo Chris che lo aveva incastrato. Ma forse si era lasciato ingabbiare troppo dal mondo del crimine; al punto da ritrovarsi di nuovo in galera.
E poi…
E poi quel suo interlocutore silenzioso che non la finiva di infastidirlo con il suo sguardo pressante e quasi morboso lo incuriosiva. Doveva ammetterlo, aveva un’aria intrigante, magnetica. Forse la maschera da duro, forse quel ghigno strafottente. Ma era certamente riuscito a catturare la sua attenzione.
Si convinse che doveva essere qualche boss della mala o il capo di qualche gang di strada. E dal suo abbigliamento la seconda opzione gli parve la più probabile. Moro, capelli corti schiacciati da un berretto la cui visiera, celata sulla fronte, arricchiva di un alone di maggior mistero la figura e creava suggestivi giochi di luce in due occhi scuri dallo sguardo tagliente, una maglietta rossa macchiata in più punti ed in altrettanti lacera, più grande di almeno una taglia rispetto al fisico snello e scolpito di chi la indossava, così pure come i jeans stretti alla vita e larghi alle gambe che ricadevano su un paio di Nike bianche decisamente vissute. Un vero macho.
E stava puntando lui.
Non che la cosa gli importasse; al momento era troppo preoccupato di come poter uscire presto da lì per poter pensare ad altro. Il carcere in cui era stato in precedenza era una reggia confronto a questo e l’ambiente in cui si trovava, ospiti compresi, decisamente non gli piaceva; gli riportava alla mente certi discorsi, certi luoghi comuni di ex colleghi che, tempo addietro, spaventavano delinquenti particolarmente ostici nel denunciare i propri complici favoleggiando sulla presenza di presunti “maschioni” poco raccomandabili che li avrebbero attesi in carcere.
Ma la sfida che sembrava volergli lanciare quel tizio lo attirava. Del resto, dopo tutto quello che aveva imparato a sue spese e le lotte quasi quotidiane per sopravvivere ora non si lasciava più suggestionare da nulla. E non avrebbe fatto eccezione per nessuno.
***
Il primo. Quell’uomo era il primo che riusciva a sostenere il suo sguardo così a lungo senza abbassare gli occhi e senza reagire, anzi abbozzando un ambiguo sorriso di rimando. E questo ne faceva una preda degna della sua attenzione.
Solitamente i nuovi arrivati, vuoi perché ancora non abituati a quello stile di vita, vuoi per le voci che giravano sulla “qualità” dei detenuti, rimanevano abbastanza spiazzati da quella che era l’atmosfera del Kreis, cercando il più possibile di evitare contatti con chi già vi stava forzosamente soggiornando… soprattutto per evitare problemi. E a volte, per quelli che si mostravano più spavaldi, bastavano giusto un paio delle sue occhiate per rimetterli a testa bassa, come bravi cagnetti al comando del padrone. Si perché lui lì dentro si considerava tale. Perché lo consideravano tale.
Felix Jäger era il più giovane dei reclusi, ma anche il più scaltro ed all’occorrenza il più pericoloso. Una personalità decisa e carismatica, formatasi per la strada dove era cresciuto e dove aveva imparato troppo presto che per sopravvivere bisogna schiacciare gli altri, bisogna farsi valere, rispettare con qualunque mezzo. Furbo e veloce come un gatto, ma con un innato sadismo che si scatenava quando qualcuno stuzzicava i suoi appetiti. Che lo facesse per sfogare la rabbia di un’infanzia difficile, o per il semplice gusto di infierire con il suo potere su di un altro essere umano poco importava. Per lui quello non era solo un modo per sopravvivere in quell’ambiente ancora più ostile della strada, ma una vera missione. La sua missione.
Così si era guadagnato il servilismo, più che il rispetto, dei suoi compagni di carcere, con il terrore e con pratiche dimostrazioni di quanto poteva essere sconsigliabile mettersi contro di lui o semplicemente non assecondare un suo ordine; spesso le sue bravate gli avevano fruttato periodi di isolamento, ma questo non aveva fatto altro che renderlo ancora più sadico e piu’ razionalmente crudele, più orgoglioso delle sue vessazioni messe in atto soprattutto con i nuovi arrivati, quelli che secondo lui “dovevano ancora imparare le regole”. Le regole dell’inferno.
Ma non tutti lo interessavano; i soggetti più deboli li lasciava volentieri agli altri “colleghi”; lui preferiva prede di carattere, prede che avrebbe provato più gusto a sottomettere e che gli avrebbero garantito per un po’ il divertimento della caccia e della lotta.
Prede come quella che si trovava di fronte. Come l’uomo che da un’ora era diventato il centro di tutte le sue attenzioni.
Già a prima vista non gli era certo sembrato un delinquente comune; lo aveva inquadrato piuttosto come qualche professionista proveniente da ranghi più specializzati della criminalità.
Elegante nei modi, esteticamente bello e ben proporzionato, curato nell’aspetto, sportivo in un paio di jeans un po’ scoloriti che gli fasciavano le gambe e una maglietta bianca fin troppo aderente abbinata ad un cardigan verdastro un po’ vintage completamente aperto sul davanti che non lasciavano certo solo immaginare il fisico scolpito che cercavano di coprire.
Lo sguardo era deciso e seducente; occhi azzurri profondi e misteriosi lo fissavano rispondendo alla sua sfida con un misto di sfrontatezza e superiorità, incorniciati dai capelli biondi con alcune ciocche a coprire la fronte.
Più fissava quell’uomo e contemporaneamente subiva il suo sguardo e più lo bramava, desiderava averlo quanto prima alla sua mercè, vederlo strisciare ai suoi piedi.
Si, quella era decisamente una preda che non si sarebbe lasciato scappare.
***
- Ehi ragazzi, “nuovo arrivato… “-
- Niente male…
- Non sembra venire dai bassifondi, anzi direi che sembra proprio un signorino. O forse, con quel visetto e quei capelli, una ”signorina”….
Felix non riuscì ad afferrare le parole, ma le sghignazzate e i fischi che le accompagnavano non gli lasciarono dubbi su chi fossero i guastafeste di turno: Tier e i suoi due idioti. Probabilmente non lo avevano visto o, dopo il loro ultimo scontro, non si sarebbero mai permessi di avvicinarglisi. Quanto erano fastidiosi e soprattutto quanto detestava quell’uomo; era sicuramente il peggior elemento tra quelli rinchiusi lì dentro. Un animale, una vera bestia. Tutto di Tier lo sottolineava: non solo era basso, tarchiato e brutto, ma aveva anche un temperamento fortemente violento e rissoso e un istinto da squalo, pronto a calpestare chiunque senza alcun ritegno anche senza un motivo valido, solo per compiaciuta crudelta’ o tornaconto personale. Si certo, forse un po’ Tier gli assomigliava, ma lui, Felix, anche se molto in fondo un suo codice d’onore l’aveva; rispettava chi riteneva suo pari. Tradotto in parole povere chi riusciva a resistergli e a picchiare più forte di lui. L’unico problema è che al Kreis non aveva ancora trovato nessuno che fosse stato in grado di spuntarla.
- Vai capo, è tutto tuo!
- Si, spaccalo in due!
I due scagnozzi stavano bellamente incitando Tier a dare il suo personale “benvenuto” al nuovo ospite… e questo Felix non poteva proprio sopportarlo; quella era la sua preda e non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via!
Appena vide Tier muoversi in direzione del nuovo arrivato, balzò giù dallo schienale su cui stava appollaiato e gli si parò davanti.
Il suo sguardo minaccioso avrebbe fatto squagliare chiunque.
- Cosa vorresti fare tu?
- Fatti da parte Felix quella è roba mia!
- Sei troppo brutto e puzzi troppo per uno così. Gli faresti solo schifo. E poi devo forse ricordarti che qui sono io che da’ gli ordini e che sceglie? – aggiunse avvicinandosi maggiormente al suo interlocutore, che iniziò ad arretrare.
- Maledizione non puoi sempre prenderti quel che vuoi e lasciare a noi gli scarti! Stavolta non te lo permetteremo, è ora che qualcuno ti ricacci al tuo posto! Giusto ragazzi?
Ma i ragazzi in questione, memori dei precedenti scontri con il moretto, si erano già dileguati.
- A quanto pare hanno avuto più giudizio di te. E al tuo posto seguirei il loro esempio.
Felix era passato dagli avvertimenti alle minacce.
- Cani rognosi! – li ingiuriò Tier.
- Smamma. E se ti becco a girare attorno a quel tipo te la vedrai personalmente con me. Sono stato chiaro?
Il silenzio, che suonò come un’ovvia risposta negativa, non piacque a Felix che afferrò il detenuto per il collo della maglietta.
- Chiaro??
Per tutta replica l’avversario emise un grugnito sommesso. Il giovane lo lasciò andare allontanandosi nel corridoio.
- Sei solo un maledetto figlio di puttana! – gli urlò dietro Tier.
- Lo prendo come un complimento – ghignò Felix senza girarsi alzando il dito medio all’indirizzo dello sconfitto.
Pochi minuti dopo anche l’oggetto della loro contesa decise di cambiare aria inoltrandosi nell’androne, seguendo la stessa direzione dell’uomo con il quale era rimasto a fissarsi così a lungo.
Passò accanto a Tier senza degnarlo di uno sguardo; quando questi se ne accorse cercò di bloccargli il passaggio.
- Ehi tu bastardo, come ti permetti di ignorarmi!
Ma il biondino, senza prestargli la benché minima attenzione andò oltre, mantenendo un freddo distacco ed un’aria di superiorità.
E l’altro, temendo un ritorno di Felix preferì desistere.
Appena svoltato l’angolo il nuovo arrivato notò a pochi passi da lui il suo silenzioso interlocutore che, appoggiato al muro e a braccia conserte, sembrava lo stesse aspettando.
Abbassata leggermente la testa e fingendo indifferenza lo superò. O almeno cercò di farlo. Ma si sentì trattenere per il cappuccio del cardigan.
- Non mi hai salutato.
Per tutta risposta Mark alzò le spalle e tentò di ripartire. Ma Felix con un violento strattone lo inchiodò al muro immobilizzandolo, una mano alla gola, l’altra appoggiata al muro accanto alla sua faccia.
- Ripeto, non mi hai salutato.
- Nemmeno tu.
- Qui gli ordini li do io, novellino. – nel tono del moretto una nota di provocante disprezzo – e ti conviene obbedire.
- Altrimenti?
- Tutti mi portano rispetto, ti assicuro per un valido motivo. E fossi in te non cercherei di scoprirlo.
- Dovrei aver paura?
- Dovresti.
- Peccato ti è andata male. Non mi lascio intimidire facilmente.
Il nuovo arrivato fissò l’altro con un’intensità tale da spiazzarlo, i visi talmente vicini da potersi quasi sfiorare. Gli occhi scuri, vibranti di lampi di sfida di Felix si trovarono a soccombere trafitti dagli azzurri cristalli di ghiaccio di Mark.
- Comunque se vuoi sopravvivere qui, devi rispettare alcune regole.
- E chi lo dice?
- Lo dico io!
La situazione stava andando per le lunghe più del previsto ma il moretto si stava decisamente divertendo; l’unica cosa che lo infastidiva era che quella loro scenetta aveva attirato un capannello di detenuti e la determinazione del biondino a resistergli stava rischiando di mettere in discussione la sua supremazia.
- Io non rispetto regole che non condivido. E nemmeno gli sbruffoni presuntuosi come te!
- Abbassa il tono e smettila di fissarmi in quel modo!
- Perché? Ti sto mettendo a disagio? – lo provocò Mark. - Dov’è finita la tua spavalderia, le tue “regole”…. Cos’è ti tremano le gambe?
Mollando la presa con una spinta e l’espressione insofferente, Felix si allontanò dalla sua preda; l’altro non ebbe nemmeno il tempo di spostarsi prima di essere colpito al volto da un violento pugno che lo mandò a sbattere contro il muro e lo obbligò ad appoggiarvisi per non cadere.
- Queste sono le mie regole – gli intimò l’avversario scandendo bene ogni parola.
Mark rialzatosi si massaggiò la guancia e si asciugò il sangue che usciva dal labbro spaccato, fissando con odio l’aggressore che scostatosi riceveva applausi e grida di approvazione dagli altri detenuti, accalcati nel corridoio o sulle logge superiori a godersi lo spettacolo.
Ma non appena lo ebbe di nuovo a tiro, con uno scatto fulmineo ricambiò con altrettanto vigore il pugno ricevuto. Felix barcollò finendo per sedersi sul pavimento, tenendosi lo zigomo sanguinante.
- E queste sono le mie! – annunciò il ribelle trionfante.
Due detenuti cercarono di avventarsi su di lui ma con scarso successo; rimediò qualche livido e qualche graffio, ma i suoi colpi rapidi e precisi costrinsero i malcapitati al tappeto. Quando altri due corsero a dar man forte ai compagni, Felix li bloccò con un cenno del capo. Si rialzò e si avvicinò a Mark ansimante per la lotta.
- Ti avevo sottovalutato “biondino”. Ma non credere che sia finita qui.
- Quando vuoi – accettò l’avversario con un sorrisetto di sfida cercando di risistemarsi.
Il moretto sogghignò di rimando e passandogli accanto per andarsene gli sussurrò all’orecchio “tanto presto sarai mio”.
***
Seduto sulla branda Mark cercò di tamponarsi il labbro ancora sanguinante. Si sarebbe volentieri risparmiato il duro scontro di poco prima ma, tutto sommato, era anche riuscito a cavarsela piuttosto bene.
Forse aveva sottovalutato l’avversario pensando che tenendogli testa ed opponendo alle sue attenzioni un muro di indifferenza lo avrebbe lasciato in pace; quando poi lo aveva visto allontanarsi aveva creduto di essere riuscito nel suo intento.
E invece si era sbagliato. Quel tizio stava solo aspettando il momento giusto per dargli il suo “benvenuto”, per fargli sapere che lì era lui a comandare. Ma se quello si illudeva di piegarlo alle sue regole aveva fatto male i suoi calcoli; in passato seguire le regole gli aveva portato solo guai ed ora era lui e solo lui a dettar legge per se stesso.
Si alzò dirigendosi allo specchio per constatare i danni subiti, ma anziché la sua immagine vide riflessa quella del suo antagonista, quel suo sorriso beffardo, quel suo ghigno fastidioso, quel suo fare presuntuoso ed arrogante. Ma vide anche i suoi occhi. C’era qualcosa in loro, qualcosa in quello sguardo… qualcosa di misterioso e pericolosamente attraente da rimescolarlo dentro. Il solo ricordo lo fece avvampare. Sciacquò il viso più volte sotto il getto freddo, ma non riuscì a scacciare quell’immagine.
Tutti i suoi propositi di evitare qualsiasi ulteriore contatto con quel detenuto svanirono improvvisamente; anzi Mark si trovò a desiderare di averlo di nuovo di fronte, di poterlo incollare al muro come quello aveva fatto con lui, di averlo in suo potere; non tanto per il gusto di ricambiargli il favore, quanto per poter vedere ancora quegli occhi scuri fissarlo con fierezza, guizzanti di lampi di sfida, sentire i suoi muscoli contrarsi sotto la presa delle sue mani, vedere quelle labbra arricciarsi in una smorfia provocatoria ma rabbiosa per non potersi sottrarre al suo assalto.
Aveva trovato un fascino strano nello scontro con quell’uomo, una sensazione che andava ben oltre la semplice scossa dell’adrenalina nel momento del pericolo; era più l’emozione di un testa a testa, di un corpo a corpo alla pari, una bramosia che si stava prepotentemente impadronendo di lui.
Sorrise malizioso asciugandosi il sangue dal labbro con lenta sensualità; scosse la testa pensando che mai nella sua vita gli era capitato qualcosa di simile, mai aveva desiderato lo scontro fisico con qualcuno come con quel tipo. Pensò che non solo non avrebbe ceduto. Ma avrebbe vinto.
Rientrato nella sua cella Felix si pulì la ferita sotto l’acqua corrente; poi con tampone imbevuto di alcool che aveva preso in infermeria iniziò a disinfettarla. Bruciava dannatamente! Ma non solo quella. C’era qualcos’altro che bruciava, qualcosa dentro di lui, un fuoco inarrestabile che lo scontro del pomeriggio con il nuovo arrivato aveva ravvivato, come se avesse gettato benzina su un falò assopito.
Si lui era proprio la preda che aspettava e doveva averlo. Doveva averlo ad ogni costo o sarebbe impazzito. Quel tizio era lì solo da un giorno ed aveva portato più scompiglio nella sua esistenza di tutti gli altri suoi predecessori. C’era qualcosa nel suo modo di fare, qualcosa nel suo sguardo, nel suo resistergli con caparbio coraggio e con quella sua arrogante superiorità che trovava irresistibilmente magnetica, qualcosa che stava risvegliando i suoi istinti più profondi e più carnali.
Si buttò sul letto, cercando di riposare e scacciare quell’ossessione. Ma ogni sforzo risultò inutile. Nella sua mente c’era sempre e soltanto quell’uomo. Del quale a conti fatti non sapeva nemmeno il nome. Per lui era solo “il biondino”.
Chiuse gli occhi e se lo vide chiaramente davanti: ansimante per la lotta, sudato, i capelli incollati alla fronte e raggruppati in umide ciocche scomposte, i vestiti appiccati addosso che lasciavano intravedere un fisico davvero notevole… davvero desiderabile. E lo sguardo fiero.
Accarezzandosi voluttuosamente la ferita allo zigomo, assaporò il momento in cui avrebbe fatto la stessa cosa con la pelle di quello sconosciuto, gli parve già di sentirlo sotto le sue mani nell’attimo in cui l’avrebbe preso e fatto suo e di godere dell’istante in cui quegli occhi di ghiaccio lo avrebbero di nuovo fissato con odio, impotenti di fronte al suo potere.
Lo immaginò nella sua cella a medicarsi la ferita al labbro e il pensiero della sua bocca e di quello che ne avrebbe fatto lo costrinse a darsi una rinfrescata. Ma ben peggiore fu il pensarlo spogliarsi per constatare i lividi subiti nello scontro con gli altri due carcerati; vide le proprie mani sondare ogni centimetro di quel corpo che si dibatteva strenuamente in una lotta serrata per sfuggirgli, le vide risalirlo ed appropriarsene per disporne a suo piacimento, immaginò la propria carne su quella dell’altro, contro quella dell’altro… E dovette soffocare nel cuscino un gemito strozzato.
Nessuna delle altre sue vittime prima di lui gli aveva mai fatto questo effetto; cedevano troppo presto, si lasciavano intimorire troppo facilmente dalle sue minacce e questo faceva di loro solo giocattoli da usare e gettare; l’iniziale gusto di poter imporre a qualcun altro il proprio potere e volere si era trasformato in un rituale che non lo divertiva più come un tempo. Era solo abitudine ormai.
Ma con quel biondo no. Lui era diverso. Con lui la lotta si era rivelata e sarebbe stata alla pari e questo non solo stuzzicava il suo più profondo interesse ma non faceva altro che infiammare ancora di più quel violento desiderio che lo stava logorando dentro.
***
Il primo impatto non aveva sicuramente rivelato un ambiente dei più tranquilli ma certo non poteva aspettarsi di meglio considerato il pedigree dei reclusi al Kreis; e lui aveva avuto l’onore di scontrarsi nientemeno che con il loro “capo”. Che aveva dimostrato un interesse davvero particolare nei suoi confronti, al punto da riservagli un’accoglienza molto “sentita”.
D’istinto Mark si sfiorò la guancia ancora dolorante ed il labbro ferito; doveva ammetterlo, a dispetto del fisico asciutto e snello quel moretto era davvero forte. E picchiava duro. Per questo probabilmente era riuscito a conquistarsi il rispetto di molti altri detenuti e forse anche lui avrebbe dovuto prendere le debite distanze; quell’uomo non avrebbe facilmente digerito la sua reazione all’assalto di qualche ora prima, ne’ tantomeno la sua ribellione davanti a tutti gli altri carcerati che poteva rischiare di mettere in dubbio la posizione ed il potere che egli aveva acquisito. Ma soprattutto non avrebbe digerito quel pugno. E sicuramente gliel’avrebbe fatta pagare.
Non temeva la sua vendetta; anzi sincero fino in fondo aveva trovato il loro confronto divertente, una vera scossa e molto interessante; o meglio aveva trovato quello sconosciuto molto interessante. Quell’aspetto un po’ mefistofelico, quello sguardo diabolico e battagliero, quel sorrisetto ironicamente malefico e più di tutto quei suoi gesti decisi e violenti ma con una carica sensuale non indifferente, avevano chiaramente lasciato un segno su di lui. E non solo a livello fisico.
Ma per la sua prima “uscita” ne aveva avuto abbastanza e decise che per il resto della giornata avrebbe cercato di stargli alla larga. Passeggiando nel corridoio semivuoto notò che gran parte degli ospiti stava lentamente rientrando nelle proprie celle, seguendo quello che sembrava un iter quotidiano; era ormai sera, presto i secondini sarebbero arrivati a richiamare tutti all’ordine per rinchiuderli per la notte e non conveniva certo opporre resistenza.
La luce che filtrava dai vetri opachi delle finestre sporche si affievoliva sempre di più e lunghe ombre scure creavano un’atmosfera inquietante, confondendo gli androni della struttura, rendendoli tutti uguali. Troppo.
Svoltato un angolo Mark si rese conto di essersi perso. Un brivido improvviso, come la percezione di un pericolo in agguato, lo fece arretrare di qualche passo nell’oscurità crescente. Istintivamente si girò di scatto guardandosi alle spalle. Nessuno.
Ma non fece in tempo a tornare sui suoi passi che uno spintone violento lo bloccò in un angolo, faccia al muro.
- E’ pericoloso girare da soli a quest’ora… “biondino”. Non hai paura di fare brutti incontri? O forse ti sei perso? Come mi dispiace….
Quel tono canzonatorio era inconfondibile.
- Ancora tu! Questo è proprio il tuo biglietto da visita!
- Ti avevo avvisato che sarei venuto a prenderti – gli bisbiglio’ l’aggressore all’orecchio, così vicino da poter percepire distintamente il suo alito caldo.
- Lasciami andare bastardo!
Provò a divincolarsi ma la posizione in cui il nemico lo aveva costretto, con un braccio rigirato dietro la schiena e l’altro schiacciato sotto al proprio corpo, non gli consentiva ne’ di muoversi ne’ tantomeno di difendersi.
- Ma quanta fretta… prima permettimi di ringraziarti per il regalo che mi hai fatto stamattina - continuò l’altro, le labbra ad un soffio dal suo volto. E gli assestò un pugno nel fianco scoperto che lo fece piegare in due.
- Il piacere è stato mio – replicò Mark a denti stretti, l’espressione sofferente per il colpo ricevuto.
- Hai ancora il coraggio di fare lo sbruffone… Meglio. Ti dirò che finora non avevo mai trovato un tipo come te. E il tuo caratterino mi piace. Mi stuzzica… - ghignò il moretto, la voce che tradiva un’insana bramosia.
- Aspetta che mi liberi e poi vedrai come ti stuzzico!
- Anzi, pensandoci bene, tutto di te mi stuzzica…
L’avversario gli si pressò addosso con maggior forza, una gamba tra le sue per cercare di impedirgli ogni movimento, ogni possibile ribellione. Solo in quel momento il biondino capì quali fossero le sue reali intenzioni.
- Non pensarci nemmeno! – cercò nuovamente di liberarsi dimenandosi furiosamente.
- E perché no? Il tuo corpo è così provocante …
Felix si scosto appena in tempo per evitare una forte testata a sorpresa.
- E quanto vigore! Mi stai proprio eccitando… Ma se continui così mi costringerai a punirti… - lo derise.
Ma la preda non mollava, lottando tenacemente e cercando di difendersi come meglio poteva.
- In questo modo ti farai solo male. Mentre se cedi potresti anche divertirti...
- Scordatelo!
Per tutta risposta ricevette un altro pugno, più forte del primo, che lo costrinse a piegarsi sulle ginocchia.
- Ora basta giocare! – sentenziò con tono stizzito ed imperioso il rivale mentre, infilata una mano sotto la maglietta, con tocco audace e sfacciatamente lussurioso iniziò ad esplorare quel corpo prigioniero in ogni suo angolo, scendendo sempre più e con sempre maggior possesso, come a volerne sottomettere l'essenza che fremeva per tornare libera.
- Cos’è? La mia presenza ti rende nervoso? Sei tutto teso…. mmm…. ma proprio tutto….
Mark chiuse gli occhi voltandosi dal lato opposto, sottraendo l’espressione alla vista del suo aguzzino e facendo appello a tutte le sue forze per non cedere. Risate beffarde, sguardi infuocati … non gli serviva vederli per sentirseli addosso; e quel corpo che si premeva rapace su di lui, quella mano che scopriva ed artigliava la sua pelle, quella presa violenta e carnale… Sentiva la rabbia crescergli dentro, o forse sentiva un impulso nuovo infiammargli l’anima.
Un sussurro rabbioso, l’ultimo baluardo di una strenua difesa, annientata dalla stretta che si chiuse a morsa torcendogli il polso, provocandogli un forte dolore.
- E’ inutile resistere… Puoi anche urlare, tanto non verrà nessuno a salvarti.
Affatto rassegnato, il biondino smise improvvisamente di opporsi. Aveva bisogno di riprendere fiato per poter fronteggiare quel che stava per succedergli.
Felix ghignò trionfante.
- Ora sei mio…
Cercando di assaporare ogni istante della vittoria, iniziò a torturare lentamente la sua vittima, concedendosi fugaci sguardi per studiarne le reazioni. Le sue labbra sfiorarono con viziosa voluttà la pelle avorio dell’altro, bollente sotto i suoi tocchi, alternando soffi leggeri a piccoli sensuali morsi, godendo dei fremiti che il trattamento provocava alla sua preda; le sue mani continuarono a vagare lungo quel corpo alla sua mercè, così perfetto da averlo fatto impazzire, esplorandolo e possedendolo con maniacale accuratezza tra avide carezze ed impietosi affondi.
Eppure ancora non gli bastava; non voleva solo la sua carne, voleva anche la sua anima, prendersi il suo essere, in una totale sottomissione. Voleva farlo completamente suo fino in fondo. Voleva tutto.
- Ora viene il bello.
Con la mano libera, iniziò pian piano a calare i pantaloni all’altro e, convinto ormai di averlo in pugno, allentò la presa per poter fare lo stesso con i suoi. Ma quello che doveva essere l’atto finale, la realizzazione dell’ossessivo desiderio di dominare la sua conquista, fu invece un errore fatale.
La minaccia risvegliò in Mark l’istinto di sopravvivenza, che per un attimo aveva accantonato sottostando senza difendersi alle angherie del nemico, moltiplicandogli le energie. Forte della parziale libertà si divincolò con un violento strattone, incurante delle fitte al fianco ed al polso, spiazzando l’aggressore e con un calcio all’indietro e una spallata riuscì a liberarsi, scaraventandolo a terra. A Felix sfuggì un’imprecazione di dolore e, furioso per l’inaspettata rivolta, cercò di rialzarsi. Ma il ribelle in un balzo gli fu addosso.
Si ritrovarono a lottare corpo a corpo, a terra sul pavimento anziché in piedi in un angolo, occhi negli occhi accesi da rabbia e rivalsa, mentre le mani duellavano per prevalere ed affermare il proprio dominio sull’altro.
La vittima, divenuta predatore, riuscì a bloccare l’antagonista tenendolo per i polsi, le braccia sopra la testa. I due si fissarono intensamente per un istante che sembrò lunghissimo, i loro respiri fusi insieme, le fronti che arrivarono a sfiorarsi.
- Odiami, pestami! Avanti che aspetti?! So che vuoi farlo, te lo leggo negli occhi! – gli ringhiò contro Felix tentando di dibattersi, lo sguardo dardeggiante incatenato a quello glaciale del suo assalitore.
Per tutta risposta, l’avversario con un gesto stizzoso lo ribaltò, costringendolo nella stessa posizione subita pochi attimi prima, imponendogli il peso della propria figura. I due corpi si sfiorarono di nuovo, di nuovo così pericolosamente serrati l’uno all’altro, la stoffa che li copriva solo un dettaglio.
- Cosa si prova eh? - ringhiò sarcastico Mark, nella voce vendetta.
- Lurido figlio di puttana, liberami subito o te la farò pagare molto cara!
Con un gesto fulmineo l’uomo lo rialzò di poco tirandolo per la maglia, spintonandolo subito di nuovo a terra, facendolo sbattere con la fronte contro il pavimento.
- Pensavi che fossi una preda così facile? O forse di essere il primo che ha cercato di fottermi?! Beh in entrambi i casi hai sbagliato di grosso!
Premendo con forza quel corpo contro il freddo rivestimento, gli si sdraiò addosso, a cavalcioni.
- Volevi farmi provare le tue regole? D’accordo, vediamo se le ho imparate bene… – sussurrò avvicinando il viso a quello del rivale, accarezzandogli la nuca prima con la punta del naso e poi con leggeri sfiori di labbra, mentre la mano libera scendeva a lambirgli un fianco.
Felix non riuscì a trattenere un gemito quando l’altro approfondì la perlustrazione, lasciando scivolare il tocco sotto i pantaloni, scoprendo l’eccitazione che lo aveva colto e che iniziava a fargli male.
Il biondino sogghignò maliziosamente compiaciuto.
- A quanto pare anche tu sei molto “teso”…
Il moretto, ansimante, capì che non avrebbe resistito a lungo: ancora un attimo di quel trattamento e sarebbe davvero impazzito. Ma mai e poi mai avrebbe ammesso di essere stato battuto con le sue stesse armi da qualcuno che, con tutta evidenza, le sapeva usare bene quanto lui; se non meglio.
- Sei un dannato bastardo. Hai finto di cedere solo per costringermi ad abbassare la guardia…
Non riusciva a liberarsi, non poteva nemmeno contorcersi per difendersi. E forse nemmeno voleva.
- Vedi? Anche l’animale più innocuo se costretto all’angolo può diventare pericoloso.
Silenzioso ma deciso scivolò su di lui, sistemandosi meglio sul suo corpo in modo da averne il totale controllo.
- Che dicevi prima? Ah si, “ora viene il bello”….
Parole ardenti pronunciate sulla pelle sudata, straziata da labbra che rivendicavano una gustata vendetta… imprecazioni e ringhi, mescolati ad ansiti indefiniti che la penombra del luogo nascose come il più fedele dei complici.
***
ll giorno dopo Felix, lo attese appoggiato ad una delle colonne del portico, durante l’ora d’aria. Imprecò non vedendolo arrivare e rientrò nell’androne.
- Ehi capo, allora com’è andata?
- Scommetto che gliele hai cantate sode a quel mezzo damerino!
- Si, si, si sarà messo a piangere e supplicarti come una puttana!
Decise di non rispondere. Nessuno avrebbe dovuto sapere cosa fosse realmente accaduto quella notte.
All’insistenza dei suoi compagni rispose con un ghigno ed un’occhiata silenziosa. E nessuno osò più fare domande.
Continuò il suo giro, quando improvvisamente da dietro un angolo sbucò Mark. Il moretto lo squadrò per un attimo, bramandolo con gli occhi, mentre un brivido di piacere gli scosse la spina dorsale; poi appositamente gli si fece davanti, fare tronfio e petto in fuori. Il biondino, immerso nei suoi pensieri, si accorse solo all’ultimo momento di lui; alzò leggermente la testa, bersagliandolo con il suo sguardo misterioso ed ammaliante, sfida e avvertimento. L'altro allora riprese la sua strada e passandogli accanto gli allungò volontariamente una spallata.
Entrambi si girano a fissarsi. Ma a dispetto delle aspettative dei presenti, che avrebbero preferito assistere ad un altro scontro come quello del giorno precedente, Mark gli rivolse un malizioso sorrisetto soddisfatto e Felix si leccò lascivamente i denti con la lingua, allusivo e visibilmente compiaciuto.
Chissà magari per aver vinto....magari per aver perso....

venerdì 15 aprile 2011

Tuo, senza freni





Questa fic è ambientata un po’ dopo la puntata: Merce che scotta.
Miguel ha rotto con la ragazza con cui doveva partire per le vacanze e si è riavvicinato a Jan con il quale aveva avuto una fugace relazione, qualche mese prima finita però per motivi di gelosia. Ora le cose tra loro vanno molto bene e, una sera che Benny è da un amico, Jan lo invita a passare la notte da lui.
NC 18 assolutamente



Tuo, senza più freni




La stanza era immersa nella semioscurità. Soltanto la luce del lampione acceso ventiquattrore su ventiquattro in giardino si rifletteva attraverso la finestra, creando giochi di ombre che mettevano in risalto la nudità di Jan Maybach, semidisteso con la testa sul cuscino, in attesa di una mossa dell’amante. Miguel, ancora vestito, era inginocchiato accanto a lui. Lo sguardo indugiava malandrino sulle armoniosità di quel corpo così attraente. Jan se lo sentiva addosso pesante, come fossero le sue mani! Buttò le braccia dietro la testa, sul volto una richiesta muta. Fai qualcosa, baciami, toccami, saltami addosso ma non stare così fermo! Soprattutto togliti quella roba di dosso! Ma restò zitto in attesa. Miguel si limitò a sorridere sghembo, quasi a prendersi gioco di lui, di quel desiderio di essere amato che gridava da ogni sua cellula.
“Tanto non faccio niente se non me lo chiedi Jan” con quella frase il commissario biondo vide azzerare le sue speranze. Sospirò sconfortato. “E soprattutto devi dirmi cosa vuoi...” a quell’ultima provocazione avvampò. “Bastardo” ruminò rosso di vergogna. Quella timidezza contribuì ad accendere l’ispanico, il quale d’istinto si tastò i genitali. Quel gesto lascivo non fece altro che corroborare l’eccitazione incontenibile dell’altro.
“Non ho capito, ripeti”
“Ho detto bastardo”
Miguel rispose prima con una risata cinica, poi affermò: “Mi vuoi ancora di più quando sono bastardo, dì la verità”
Jan non l’avrebbe mai ammesso ma, dopo aver deglutito rispose: “Spogliati Miguel” suonava come una supplica.
“Vuoi che mi tolga tutto o che mi sbottoni e basta, tirando fuori quello che desideri...”
Indispettito ma allo stesso tempo arrapato, Jan si morse il labbro inferiore. “Sì”
“Sì?”
“Sì Miguel, sì! Non occorre che ti spogli, tiralo fuori e...” si bloccò di nuovo incerto.
“Finiscila, se non mi dici quello che vuoi, quello che ti piace sai che faccio? Me ne vado e ti lascio solo a torcerti dal desiderio”
Quella frase oltre che ad aumentare lo ormai stato di doloroso e frustrante desiderio che provava, lo mise in allerta, come se ci fosse stata davvero la possibilità che Miguel, come se niente fosse, rinunciasse alla notte d’amore solo per fargli dispetto!
“Io... io voglio che te lo tiri fuori e che me lo metti in bocca...”
“Spiegati meglio...”
“Mi sono spiegato benissimo” lo fissò furente ma in cambio ricevette solo un altro sorriso cattivo. “Ok hai vinto tu: tiralo fuori e sbattimelo in bocca perché... muoio dalla voglia di succhiartelo Miguel! Sei contento adesso?”
“Uhm, ora sì che sei stato convincente!” sotto lo sguardo voglioso di Jan finalmente si sbottonò i jeans. Il sesso eretto puntava dritto verso di lui. Prima di accontentarlo Miguel lo spinse contro la testata del letto. Una volta che lo ebbe immobilizzato spalle alla testata, mise le gambe ai lati del suo corpo. “Ora mi scoperò la tua bellissima bocca” a quella frase Jan lo fissò con un misto di paura e desiderio. Jan era sempre con la nuca contro la spalliera del letto, quando Miguel iniziò a passargli le dita sulla bocca schiusa una ad una. Jan le succhiò ma guardando quello che voleva da morire. “Lo vuoi talmente tanto che sei diventato rosso, è per questo, vero?” Domandò Miguel sempre più perfido prima di togliere la mano e le dita ancora bagnate di saliva e passarle sul viso. Un istante dopo spostò definitivamente la mano dal viso e con l’altra avvicinò il pene. Strofinò lentamente la bella bocca schiusa. Poi pose l’indice di nuovo tra le labbra cosicché Jan lo accolse insieme al sesso. Gemendo a Miguel sfuggì: “È perfetto!” Improvvisamente pose i palmi ai lati del viso di Jan per tenere la testa ben ferma contro la testata. Jan non si muoveva, era solo Miguel con le gambe strette contro il suo corpo ad affondare in lui, mentre Jan accarezzava le natiche. Il fatto che fosse lui a muoversi, tendendolo fermo con il peso del suo corpo era per Jan una novità. In quella posizione particolare, il sesso entrava di più rispetto a quando era lui a muoversi sull’altro. In alcuni momenti fu sul punto di scoppiare, gli mancava il respiro e aveva la sensazione di sentirselo proprio fino alla gola.
Miguel si tolse per dargli la possibilità di riprendere fiato. “Ce la fai? Sto esagerando?”
Ormai divenuto audace, Jan rispose: “Niente affatto, mi piace da morire. Continua così!”
A quel punto Miguel si lasciò scappare: “Oddio non sai che voglia avrei di venirti in bocca!”
Al solo sentire quelle parole, Jan si sentì morire di desiderio.
Di nuovo Miguel si fece strada nella bocca dell’amico. “Continua! Fammi godere!”
Mentre Jan si affannava sul sesso, Miguel fece domande alle quali sapeva che l’altro era impossibilitato a rispondere: “Ti piacerebbe se venissi adesso? A me tanto... tantissimo” Improvvisamente si rese conto che di lì a poco non sarebbe stato in grado di fermarsi. Si tolse un secondo prima di schizzare al grido di: “Sto vedendo!” Ma Jan, ancora pieno di desiderio, avrebbe voluto che continuasse, che non si spostasse ma si sarebbe vergognato troppo a proporlo. Miguel godeva piegato sul viso di Jan, la punta appoggiata alla guancia. Il calore che si propagò dal viso al collo, e in fine sulla spalla, gettò Jan in uno stato di voluttuosità irrisolta, tale da renderlo quasi isterico. D’istinto prese la mano di Miguel e se la portò tra le cosce. Questi, ancora confuso dall’orgasmo, lasciò che lui gli spingesse le dita umide di saliva verso il punto più segreto e più caldo di tutto il suo corpo.
“Più in fondo, ti prego” lo supplicò ma era lui stesso a spingerle dentro di sé, a guidare la mano che si mosse fino a quando, esasperato dal piacere, anch'egli arrivò al culmine spargendo il seme sul ventre scosso dalle contrazioni. “È stato incredibile” disse chiudendo gli occhi, mentre Miguel, a sua volta esausto, si piegò con la testa sul suo petto, per ascoltare il battito cardiaco tornare lentamente alla normalità.

martedì 22 febbraio 2011

Bello pure quando dormi





Titolo: Bello pure quando dormi
Autore: Sokogirl
Fandom: SOKO Leipzig
Pairing: Jan Maybach/Vincent Becker
Storyline: stagione futura


Vince era rimasto a casa con il piccolo Miguel Junior mentre Jan si occupava di interrogare l’energumeno che aveva ucciso una donna, colpevole di aver intascato un gratta e vinci! Leni era tornata al lavoro da poco, stava sullo stesso caso del compagno e i giornali da che mondo e mondo si scrivono di notte.
A Vincent Becker non dispiaceva fare il babysitter ogni tanto. Soprattutto quando Jan glielo domandava socchiudendo gli occhioni blu.
“Finalmente sei crollato” sussurrò al neonato avvolto in una copertina bianca tra le sue braccia: dormiva paciosamente. Mentre continuava a cullarlo si appollaiò alla poltrona. Continuava a rimirane i lineamenti che, sebbene la tenera età, ricordavano ogni giorno di più quelli del padre. Proprio bello come tuo padre. “Sai ranocchietto che quando dormi sei carino come il tuo papà?” si scoprì a dire ad alta voce. Le guance gli si colorarono all’istante. Ricordò quando qualche tempo prima, che Leni ancora non aveva partorito, avevano appostato un pregiudicato di sera tardi. Jan era distrutto dalle poche ore di sonno causate della compagna, la quale si lamentava della pancia al punto che tra una camomilla, un massaggio alla schiena, le volte che il commissario Maybach si era ritrovato ad addormentarsi all’alba, erano fin troppe. “Che noia!” furono le ultime parole che gli sentì dire Vince prima che un altro suono, dolce e melodico, uscisse dalle labbra socchiuse. Jan russava sommessamente, un respiro flebile. Vince si era voltato per prenderlo in giro, svegliarlo. Ma la visione lo arricchì di una tenerezza quasi dolorosa. Sei bello pure quando dormi, pensò.
Proprio in quel momento Jan rincasò facendo tornare Vince alla realtà.
Il poliziotto biondo si avvicinò alla poltrona occupata dal collega e dal figlio. Piombato alle spalle si piegò su di loro. “Dorme?”
“Già” Vince si voltò dalla sua parte. “Messi dentro i cattivi?”
“Ho fatto i compiti, e ora sono stanco”
“Devo cullare anche te?” a Vince scappò naturale ma subito se ne pentì soprattutto quando lesse nel volto di Jan un’espressione così deliziosamente sbalordita.
“Si fa per dire, tu pesi molto di più!”
“Lo porti tu dentro la culla?” rispose Jan toccandosi la nuca imbarazzato.
“Certo! Servizio completo” così dicendo Vince si avviò in camera da letto. Appoggiata la creatura nel suo giaciglio, si soffermò a guardarlo di nuovo, così preso non si accorse di Jan giunto alle sue spalle.
“Non so come ringraziarti” gli sentì dire.
A Vince vennero in mente almeno cento risposte, ma non ce n’era nemmeno una soltanto che non fosse vagamente maliziosa e dunque altamente pericolosa.
“Mi basta sapere che il piccolino sta bene e che il suo papà ha svolto il compito come si deve” si morse il labbro inferiore. Pure quella però, la centunesima, suonava vagamente ambigua.
“E tu Vince?”
“Io cosa?” trasecolò.
“Stai bene?”
“Intendi con Miguel?”
“Intendo in generale”
Vince girò intorno a Jan evitando il suo sguardo. Di nuovo una serie di risposte improbabili, del genere: come schifo faccio a stare bene se l’unica persona che vorrei amare, che mi blocca il respiro ogni volta che la guardo, è di un’altro? Una donna che gli ha appena sfornato un ragazzino e l’unico modo che ho per tenermelo vicino è fargli da babysitter? Si sorprese a bofonchiare qualcosa.
“Che c’è?”
“Cosa?” cercò di tornare in sé.
“Ho chiesto se hai detto qualcosa Vince!”
“E perché ti interessa sapere se sono felice?” ribatté con aria di sfida, petto in fuori.
“Perché ti scaldi?”
“Non mi sto scaldando”
“A me sembra di sì” Vince non riuscì a dire altro e tentò di sgusciare dalla camera da letto... dove Jan e Leni fanno così bene l’amore... si sentì invadere dalla nausea.
Jan, afferratolo per un braccio, lo bloccò con maschia decisione: “Dove vai?”
“Il babysitting è finito, vado a casa a leccarmi le ferite visto che sono tanto infelice” Vince si odiò per quella frase stucchevole e per niente degna di un poliziotto. Di un uomo.
“Vince, perché fai così? Se è colpa mia... se ho fatto qualcosa che...”
“Perché dovrebbe essere colpa tua Jan”
“Perché non riusciamo ad essere amici” ammise Jan alla fine: “Intendo dire: siamo colleghi, e ci stimiamo. Ma tu mi tieni a distanza, come se ti fosse difficile considerarmi amico”
Ma bravo Maybach, che bella scoperta! Ci sei arrivato! “Non dire cavolate Jan: noi siamo amici”
“Hai appena detto che ti tratto come una tata, o sbaglio?”
“Era ironico”
“Non lo sembrava”
“Mi dispiace, ultimamente i toni non mi riescono come dovrei. Forse dovrei davvero fare un ripassino da S.O.S Tata”
“Finiscila di fare il cinico”
“E tu abbassa la voce sennò svegli tuo figlio!” ma lo disse lui più forte e, difetti, il ragazzino eruppe in un fragoroso pianto. “Provo a dargli i ciuccio, magari si calma” Vince, tornato subito efficiente, accostò alla bocca del neonato il gommotto di caucciù scivolato fuori dalla sua portata. Per i primi venti secondi non ne volle sapere, ma poi si rassegnò.
“Tanto tra venti minuti deve mangiare” sussurrò Vince tenendo sempre la mano sul ciuccio per impedire che gli sfuggisse di nuovo.
“Vorrei che restassi allora” mormorò Jan ad un passo da lui. Vince si sentì invadere da un calore totale: il corpo di Jan.
“Ma il latte di Leni è già in frigo, bisogna solo scaldarlo”
“Però ho notato che quando glielo dai tu mangia più volentieri”
Vince pensò che suonava come una scusa bella e buona e avvampò. Jan gli aveva non solo appoggiato un braccio sulla spalla, ma aveva pure posto l’altro su un fianco. “Vince, togli la mano. Ora dorme profondamente, e secondo me ne avrà per ben più di venti minuti”
“Dunque?”
“Perché non continuiamo quel discorso sull’amicizia?”
Vince deglutì, con Jan addossato così a lui, i discorsi sull’amicizia gli sembravano appropriati come il salame per antipasto ad una cena tra musulmani!
Perché no! Perché cazzo vuoi parlare d’amicizia? Perché ti amo! E voglio fare l’amore con te! Cavolo Jan ma sei empatico come un secchio di vomito! Dovresti cambiare mestiere! “Voglio esserti amico Jan” si limitò a rispondere con le labbra che non riuscivano a smettere di tremare.
“Anche io Vince, ne ho bisogno” si abbracciarono. Un abbraccio tra amici che non potevano essere amici. Vince con il suo terrore che l’altro scoprisse che bleffava. E Jan con l’altrettanto terrore che Miguel Junior ricominciasse a piangere. Perché l’abbraccio di Vince desiderava gustarselo a lungo, in silenzio. Unico suono: il battito dei loro cuori.