lunedì 21 maggio 2012

Istinto di protezione


Titolo: Istinto di protezione
Autore: Sokogirl 
Fandom: SOKO Leipzig
Pairing: Jan Maybach/ Tom Kowalski
Storyline: la nuova stagione (da Settembre su zdf)


 
La pioggia, a causa di quel ventaccio così forte, sbatte impetuosamente sulle finestre di casa Maybach. Leni è stretta accanto a lui, dall’altra parte della stanza Charlotte dorme placida. Non Jan, lui no, non riesce a smettere di pensare che, per colpa di quel temporale così forte, la roulotte di Tom può finire per capovolgersi. L’idea del suo compagno ferito, o addirittura peggio, non lo fa dormire. Si dà dello stupido, perché Tom Kovalski è un uomo adulto, forte, che ha scelto di vivere per strada, non è certo un ragazzino insicuro che ha bisogno del sostegno di un adulto! Che testone… Pensa voltandosi dalla parte della finestra e liberandosi così dalla stretta di Leni.  Poche ore prima, ispirati dall’acquazzone che entrambi trovano romantico, hanno fatto l’amore con passione, ricavandone entrambi un senso di appagamento assoluto. Per questo Leni, felicemente stremata dagli orgasmi multipli, dorme beata, mentre Jan, no! No, proprio non riesce a prendere sonno. Tom invade ogni suo pensiero, ogni sua cellula ragionevole. Gli vuole bene, un bene profondo e sincero. Il loro rapporto ha qualcosa a che vedere con quello che aveva con Miguel, così assoluto, vero, totale. E il suo Miguel l’ha perso, forse per questo è in ansia per Tom, non vuole rivivere la stessa esperienza. Tom glielo ricorda per tanti motivi e in molte occasioni. Quando prende le indagini di petto, sempre come se fosse un fatto personale. Quando si butta con impeto in un’azione pericolosa, senza badare le conseguenze. Quando è irrazionale, come un ragazzetto appena uscito dall’accademia. Quando si chiude in se stesso, e non vuole rivelare di sé e persino quando fa il cascamorto con le ragazze, l’adulatore. Sorride tra sé. No, Miguel era molto più plateale con le ragazze, Tom è più orso. Improvvisamente si accorge che sta arrossendo. L’idea di Tom in fase amorosa lo ha turbato più di quando non avrebbe creduto. Un ennesimo lampo squarcia il cielo. Un primo gorgheggio e poi uno strillo acuto. Charlotte si è svegliata. Jan accorre dalla sua piccola, anche se Leni si è raccomandata di non tirarla subito su. Ma lui se ne frega e, appena è di fronte alla culla, frastornato dai sui grandissimi occhi chiari, la prende tra sue le confortevoli braccia. “Tesoro di papà, hai fame?” le bacia la fronte. Ma lei non ha fame, e dopo poche cullate torna a dormire. Forse non si mai svegliata, ha solo strillato nel sonno. Attento a non fare rumore, Jan la ripone nel suo lettino, poi fa per tornare da sua moglie. I pantaloni con accanto il fodero contenente la pistola d’ordinanza, esercitano su di lui un’attrazione invincibile. Qualcuno deve farlo ragionare, non si può dormire in quel posto in una notte del genere, senza rischiare di venir spazzativi via. È l’ultimo pensiero che fa prima di vestirsi e dopo aver lasciato un biglietto a Leni dove spiega vagamente che “deve occuparsi di un caso urgente” esce di casa. 
Sono le tre del mattino quando Jan Maybach giunge di fronte alla roulotte, casa del suo migliore amico. La pioggia batte incessantemente e lui, appena posteggiato, pensa al modo migliore per giustificare la sua presenza lì. Mi prenderà per pazzo, sicuro! È quasi tentato di tornare sui suoi passi, quando la luce dentro la roulotte si accende. Evidentemente, nonostante il rumore della pioggia, Tom ha udito la macchina fermarsi a pochi passi dal suo alloggio. Correndo Jan raggiunge la porta e batte. In pochi attimi Tom apre. “Che fai qui Jan! Entra!” Gli fa spazio. Jan è bagnato come un pneumatico che è passato sopra a un centinaio di pozzanghere. Lui e le sue gocce di pioggia che gli imbrattano capelli e giacchetto, entrano nella roulotte. “Ti do un asciugamano, poi mi dici che ci fai qui?”
“Tu che ci fai qui!” Jan lo fulmina con lo sguardo. Nota che nonostante il tempaccio indossa solo una t-shirt e un paio di boxer. In effetti non è affatto freddo dentro alla roulotte, non come si aspettava quantomeno.
“Amico ti sei forse bevuto il cervello? Sono le tre, perché ti trovi qui. Un’urgenza?”
Jan oscilla la testa. Già, che ci faccio qui? È atterrito. Ora deve ammettere che sta impazzendo. No, forse per lui sarebbe più comodo, deve ammettere che era preoccupato per lui, perché temeva per la sua incolumità. L’incolumità di un poliziotto di quasi quarant’anni pluridecorato! Ridicolo…. Notando il suo disorientamento, Tom gli giunge accanto. Picchetta sulla sua spalla. “Allora me lo dici tu cosa succede o devo fare tutto io?” Sogghigna. Jan lo guarda senza capire. “Eri convinto che il temporale mandasse di traverso la mia roulotte, per questo sei qui, ammettilo”
Jan spalanca la bocca, non ne esce alcun suono. Tom si piega su di lui, i visi a pochi millimetri. Insiste: “Ho indovinato vero?”
“Oddio Tom, sono uno stolto!”
“Abbastanza” Tom però sorride al suo amico stolto. Gli accarezza la guancia dolcemente. “Sapevo che eri preoccupato ma non pensavo saresti arrivato a tanto”
“Voglio solo sapere che dormi tranquillo in un posto sicuro. Con delle mura e delle fondamenta, chiedo troppo?” Lo attacca Jan fulminandolo letteralmente con le iridi chiare. Tom nota che sulle ciglia ci sono ancora delle gocce di pioggia. Il cuore gli si ferma per un istante di troppo. L’emozione gli blocca il respiro. E pensa: tu e i tuoi dannati occhi azzurri siete molto più pericolosi del temporale! “Cazzo Jan, non pensavo fossi così premuroso” gli ruba la goccia dalla ciglia ma con uno scatto cattivo, Jan allontana la mano: “Mi prendi in giro, Kovalski? Io giungo di notte qui da te, preoccupato perché penso che sei in pericolo, e tu ti prendi gioco di me?” Dopo un lungo sospiro torna all’attacco: “Hai mai tenuto alla vita di qualcuno al punto di sentirti letteralmente soffocare se pensi a lui in pericolo?”
“Certo” il piglio di Tom è duro, fiero.
“Allora forse puoi capirmi” Jan allontana lo sguardo. Prima di uscire, si guarda intorno. “Appurato che questa specie di baracca reggerà l’urto del peggior temporale che Lipsia abbia mai ricordato, torno dalla mia famiglia”
Ma Tom lo ferma prendendolo per un braccio: “Ora sei qui, asciugati almeno, attendi che il temporale si sia calmato”
 “No” Jan si allontana.
“Di che hai paura, piccolo?” Tom torna accanto a lui. Di nuovo i visi ad un soffio: “Hai paura di affrontare il vero motivo per il quale sei qui?”
Jan finge di non capire. Ora sì che gli manca davvero il respiro. È affannoso, come quando si fanno le scale di corsa. Tom gli mette un dito sotto il mento: “Sei così carino quando ti beccano in flagrante cucciolo”
“Non essere ridicolo. In flagrante di quale reato?”
Tom si finge pensieroso poi enuncia: “Istinto di protezione inappropriato” ridacchia: “Jan, sono un uomo! Non sono Benni ne tanto meno Charlotte. Non mi caccerò in qualche guaio come Vince, e di certo non mi spareranno come è accaduto a Miguel” lo sprona: “Guardami negli occhi piccolo: a me non succederà nulla di tutto questo. Io non ho intenzione di lasciarti”
Il cuore di Jan è a mille, come impazzito. Come fa a conoscere così bene i suoi pensieri? Anche quelli più segreti? Se lo domanda senza più la forza di respirare.
“Sono il tuo compagno Jan, e voglio esserlo per tanto, ma tanto tempo” e dopo avergli accarezzato la guancia conclude dicendo: “Non mi perderai” gli occhi chiari dell’uno annegano nelle pozze dell’altro. Il rintocco dei minuti passa. Jan è molto più calmo mentre si spoglia, mentre Tom accende il phon e gli passa dei vestiti asciutti. Mente la pioggia continua fuori il suo incessante battere

giovedì 12 aprile 2012

Indimenticabile avventura



Titolo: Indimenticabile avventura
Autore: Sokogirl
Fandom: SOKO Leipzig AU
Pairing: Jan Maybach/ Tom Kowalski
Storyline: nessuna
Warning: NC 17  per sesso esplicito e descrittivo senza precauzioni. Bondage soft

 
Sono passati quasi due anni. È sì, mia nipote Fiamma giusto domenica compie vent'anni. Cazzo, ancora quando ci ripenso mi viene la pelle d’oca. A volte mi capita di svegliarmi in piena notte e pensare a quei momenti, a quella volta che... Insomma era il diciottesimo compleanno della mia carissima nipote, la figlia di mia sorella. L’evento si sarebbe festeggiato in un ristornate un po’ fuori mano. Arrivati, mi dovetti ricredere. Io, abituato agli hotel di lusso per via del mio lavoro (rappresento all’estero un’importante S.p.A.) il ristorante “Gli ulivi” nell’anonima Frattocchie, mi aveva fatto presupporre erroneamente a un posto volgare, di basso livello. Invece il giardino elegante e curato che lo circondava, non meno il servizio impeccabile, l’atmosfera vagamente da castello ottocentesco, mi lasciarono stupito e soddisfatto. Positivamente stupito. Accanto a me come sempre mia moglie Elena e i miei adorati figli, Riccardo e Paolo, all’epoca di tredici e nove anni. Salutata nipote e sorella, cognato, consegnato il regalo, che consisteva in un abbonamento a teatro, mia nipote ne va pazza malgrado sia una adolescente, ci spostammo per consumare un aperitivo al buffet a base di tartine, salmone e leccornie varie. Di solito non mi piace abbuffarmi, ma complice il pranzo mordi e fuggi, non meno la solita corsetta di un’ora e mezza che faccio dopo il lavoro, ero affamato. Mi presi ben tre piatti di ogni ben di dio. Una volta al tavolo, accettai volentieri i due primi, consistenti in fettuccine al tartufo e crespelle spinaci e vodka. Mangiavo, bevevo calici di vino, scherzavo con mio cognato parlando dell’ultima di campionato. Ogni tanto mio suocero cercava di spostare il discorso sulla politica, convinto com’era che ci avrebbe fatto cambiare idea. Forse tra un Berlusconi e un Di Pietro che lo notai: non si trattava di un cameriere qualsiasi ma del maître. Se ne stava in piedi vicino all’uscita. Lo sguardo fieramente alto, un sorriso beffardo sulle labbra. Non più di trentotto anni. Almeno così dimostrava. Non so perché ma quando il suo sguardo all’improvviso si posò su di me: intenso, sfacciato, mi venne duro all’istante. Ero turbato come lo sarebbe stato qualsiasi eterosessuale di lunga data. Il fatto che fosse un gran bell’uomo, con occhi grandi e chiari, capelli biondi ma non come i miei, più simili al colore delle fragole, e le spalle larghe, i pettorali ben definiti sotto la divisa professionale che lo distingueva dagli altri camerieri, tutto ciò non contava. A me gli uomini non avevano mai solleticato appetiti sessuali, tanto per stare in tema cibo. Per calmarmi mi versai una generosa coppa di vino bianco. Bevvi tutto d’un fiato. Il bell’uomo sembrava distratto ora, mentre elargiva ordini ai suoi sottoposti. Qualche minuto dopo mi resi conto che mi stava di nuovo fissando impunemente. Non riuscivo proprio a capacitarmi. Che fosse un vecchio compagno di scuola? Mi domandai. Un conoscente che non riconoscevo. Ma ammisi a me stesso che quel tipo di intrigante e malizioso interesse, non poteva essere elargito ad un semplice conoscente. Da come mi fissava lui mi voleva, gli piacevo. Premetto una cosa: non è che fosse la primissima volta che un uomo mi prende di mira. Il fatto di essere di bell’aspetto, in forma e con un lavoro invidiabile, mi ha più volte messo nella situazione di essere bersaglio di uomini, diciamo di “altri” gusti. Ma erano sempre o checche o anziani. E non era questo il caso. Lui, il misterioso e aitante servitore, quello che mia sorella Carla, donna dalla lingua tagliente, avrebbe definito “un gran pezzo di manzo”. Il maître restò in disparte cercandomi sempre con gli occhi anche a cena finita, quando partì la musica da discoteca e le decine di giovani invitati e non solo, iniziarono a ballare nello spazio antistante i tavolini. Fu quando la musica ad altissimo volume iniziò a pompare di brutto che mi resi conto di aver bevuto davvero troppo. Avevo la nausea e mi girava la testa. Mi spostai in bagno dove quasi ebbi un capogiro. Dopo essermi slacciato la cravatta, provai a vomitare senza successo. Con il cuore all’impazzata pensai di uscire a prendere un po’ d’aria, e mentre mi apprestavo a spingere la porta che conduceva fuori, me lo ritrovai davanti. Il mio aspetto doveva essere proprio emaciato perché mi chiese subito se stavo bene. Abbassando lo sguardo, imbarazzato mi giustificai: “Forse ho mangiato e bevuto troppo”
“Le porto subito un digestivo, ma non le conviene uscire con questo freddo senza cappotto. In piena digestione rischia di peggiorare la situazione” mi spinse verso una stanza dove c’era un salottino appartato. “Mi attenda qui” mi disse. Mi spaparanzai su una della poltrone. Già stavo meglio!
Il mio soccorritore tornò pochi minuti dopo con il digestivo. “Questo le farà sparire l’acidità, si fidi”
Mi sorrise e io sorrisi a mia volta: “Lei è davvero gentile”
“Figuriamoci. Mi piace coccolare i clienti e poi è il nostro lavoro no?” dentro di me mi sentii ribollire. Probabilmente lo notò perché come attratti da una forza misteriosa, ci ritrovammo vicini. Si sedé sul poggiolo della poltrona. E mentre sorseggiavo il mio calmante, lui mi domandò se fossi io il padre della festeggiata. “È mia nipote” spiegami senza smettere di fissarlo come lui fissava me. Ero su di giri. E la notizia fece scaldare anche lui, poiché subito dopo aver avvicinato la bocca al mio orecchio, mi confidò: “Lei è l’uomo più sexy della serata, e mi piacerebbe compiacerla come meglio crede” fece l’occhiolino. “So essere molto servizievole” aggiunse. Mi resi conto che mi stava slacciando la cintura.
“Non credo sia il caso” blaterai poco convinto. Ero arrapato da morire e quel bellissimo maschione voleva me! E la cosa straordinaria è che io volevo lui! Mi cavò il cazzo dal suo guscio. Era duro duro e fui felice di poter vantare una simile erezione. Mentre mi masturbava veloce, fuori continuava ad impazzare la festa. In quel momento non pensavo ai miei parenti, a mia moglie specialmente là fuori a pochi metri. Ero fuori di me. “Continua” ansimai.
“Ti accontenti di poco” mi disse. Poco dopo mi si inginocchiò davanti. Prese a succhiarmelo con dolcezza e impegno. Non durai molto e lo sperma schizzò in aria infrangendosi poi un po’ sui pantaloni, un po’ sul ventre. Nemmeno il tempo di riprendermi dall’orgasmo, lo sconosciuto del quale non sapevo nemmeno il nome, mi liberò di scarpe e pantaloni, che calò giù insieme agli slip. Mi ritrovai la sua sapiente lingua tra le chiappe. “Hai un sapore fantastico” mi disse tra un affondo e l’altro. Nessuno mi aveva mai riservato un simile trattamento, era estremamente piacevole e bastarono pochi minuti a farmelo tornare dritto. “Che bel culetto vergine” sussurrò mentre infilava un dito umido di saliva. Mi lagnai per l’intrusione. Intanto che il medio si faceva strada, prese a solleticare le palle. Mi stavo iniziando ad abituare alle lusinghe anali quando mi spiazzò con una domanda. “Hai mai assaggiato il cazzo?”
Io spalancai gli occhi tra l’inorridito e il libidinoso. “No e non voglio!” Chiarii con veemenza. Ma le mia affermazione non gli scucì nulla visto che pochi convulsi secondi dopo, mi ritrovai la sua cappella premuta sulle labbra. “Apri la boccuccia” mi ordinò. Io rifiutai voltandomi dall’altra parte. Con meno gentilezza mi afferrò il mento per spostarlo malamente di nuovo davanti al sesso. “Succhialo perdio o ti sputtano con i tuoi parenti” le sue minacce, anziché spaventarmi, mi eccitarono, al punto che non solo spalancai la bocca per riceverlo, ma iniziai a pompare forte e di gusto, come un qualsiasi frocio avvezzo alla fellatio. Lo sentii gemere. Il cazzo molto lungo e pure piuttosto largo, mi solleticava le tonsille ogni volta che il farabutto spingeva i fianchi verso di me. “Come sei bravo puttana! Un ciuccia cazzi fatto e finito!” ansimò. “Io non mi sbaglio mai! Appena ti ho visto ho capito che dietro quell’aria da manager in carriera serio e professionale, si nasconde una baldracca avida di uccello!” Quel linguaggio mi infiammò. E lui dové capire subito che avevo bisogno di altro perché si tolse per poi tornare a leccare il buco del mio culo. “Ti prego ancora” lo supplicai mentre lingua e dito facevano allargare il mio impensabile, fino a quel momento, organo genitale. Ben presto scoprii che zona erogena pazzesca celasse il culo. “Hai bisogno di cazzo” mi confidò rialzandosi. Pochi attimi dopo la punta armeggiava nei pressi del mio culetto inviolato. Un lampo di razionalità mi fece urlare: “Ti prego, non mi inculare! Ho paura!”
“Non devi averne. Non ti farò male. Te lo prometto” e senza preavviso si spinse in me. Non provai un vero dolore piuttosto il bisogno urgentissimo di defecare. Poi, man mano che si muoveva mi abituai e infine non provai più fastidio ma solo piacere, un immenso piacere che mi fece perdere nell’oblio dei sensi. “Come godo, di più!” gridai contorcendomi sotto gli assalti. Lo sconosciuto continuava a muoversi agile e potente. Durò tantissimo, finché non spillai seme e solo dopo avermi fatto godere, venne a sua volta.
Alla fine mi abbracciò, mi baciò le sopracciglia, il naso, la bocca. Mi ringraziò. “Era tanto che non facevo l’amore così” rivelò. Qualche secondo dopo mi ritrovai solo in compagnia del rotolo di carta igienica che lui mi aveva dato prima di uscire.

Non ho più rivisto quell’uomo. Né tentato di rivederlo. Tante volte ho pensato a lui, a quell’esperienza indimenticabile che mi ha iniziato ai piacere di sodoma. È sì perché dopo essere stato per molti mesi a torturarmi per i sensi di colpa, alla fine ho ceduto. Ho iniziato frequentando una sauna di quelle “particolari”. Ho avuto diverse avventure, sesso protetto però questa volta. Ora ho una relazione stabile con un bellissimo chef. Lavora in un hotel del centro storico. Non è solo perché mi ricorda il mio maître, il bellissimo amante di una notte del quale non so il nome, è più giovane di me, dieci anni di meno, bisessuale, molto virile. I capelli scuri li porta quasi sempre rasati a zero e a letto è un vero animale. Riesco a barcamenarmi con il matrimonio e con lui, anche se sto pensando che una volta che i miei figli saranno un po' più grandi, potrei pure pensare a trasferirmi da lui, avere una relazione stabile. Non vorrei che con il tempo si stancasse di stare con uno sposato. Non me lo perdonerei mai di perdere anche lui.